Si ripercuote in borsa la mancanza di una reale unità politica europea, con il ripetitivo deprezzamento dei titoli, non solo bancari ma anche negli altri comparti
di Alberto Zei
Ormai siamo abituati alla dizione mediatica delle solito “lunedì nero”, “martedì nero”, fino alla chiusura borsistica di settimana con il” venerdì nero”, imputabili alle altalenanti, quanto illusorie considerazioni sulla possibilità che la sola legge di mercato prima o poi recuperi il deprezzamento che queste banche hanno subito e fatto subire. La serie di speculazioni finanziarie mal riuscite che sono state commesse nell’illusoria speranza che durante l’andamento negativo di mercato, qualche operazione più fortunata fosse stata in grado di risollevare il valore residuo di capitale che queste banche ancora posseggono, si sono rivelate e continuano a rivelarsi un rimedio peggiore dello stesso male.
Il ricorso al “tutto e per tutto” – Per quanto riguarda i rimedi che potrebbero essere adottati per difenderci dalle attività bancarie più aggressive delle quali i clienti continuano a rimanere vittime, non bastano quelli di fondo adottati dagli Enti comunitari, se non si impedisce drasticamente agli operatori interni di proseguire su questo azzardo. Visto e considerato che è proprio questo tentativo del “tutto e per tutto” per recuperare le perdite che i responsabili di tanti misfatti stanno ancora incrementando, come i giocatori del tappeto verde quando sperano di rifarsi raddoppiando di volta in volta sul tavolo della fortuna la posta del capitale perduto.
D’ altra parte, sembra evidente l’incapacità dei rappresentanti del governo di trovare con la UE anche in quest’ultima settimana, la maniera di
chiudere non solo l’intera questione ma neppure in modo parziale, le singole soluzioni. Quali? A titolo di esempio, quella più emblematica del Monte dei Paschi di Siena. Infatti, attraverso l’intervento dello Stato, si potrebbe procedere ad una nuova capitalizzazione della Banca, considerato che l’ attuale è arrivata ormai a meno di un miliardo di euro. Ma anche questa ipotesi, sembra “non riuscire a tirare fuori un ragno dal buco”.
Anni dopo che la Germania ha beneficiato a piene mani del beneficiabile, la attuale politica economica della UE con l’ entrata in vigore delle nuove regole del così detto bail in, è improntata tra gli Stati membri sulla parità dei trattamenti e le deroghe non sono più ammesse. Allo stato delle cose il prezzo da pagare per questa operazione, secondo le regole del bail in, sarebbe l’ azzeramento di azioni e obbligazioni subordinate che corrisponderebbe in sintesi, alla perdita pressoché completa degli investimenti dei creditori. In effetti, l’ imbrigliamento delle norme in nome della soprannazionalità che la Unione Europea esercita nei confronti dei Paesi membri, rende alcuni Stati non sufficientemente considerati nelle loro specifiche esigenze, tra cui l’ Italia.
Uno spiraglio di luce – In questi ultimi giorni sembra che l’aggravamento, piaccia o no, della situazione in cui alcune istituti di credito del nostro Paese si sono pesantemente e colpevolmente impantanati, abbia finalmente indotto i responsabili dell’Europa a concedere un’apertura all’Italia. Ciò avverrebbe, il condizionale è d’obbligo, con sovvenzioni pubbliche italiane che fino a qualche giorno fa, erano solo ipotizzabili. Ma allora, ecco che implicitamente si dà prova che solo una oculata giustizia distributiva, applicata secondo concetti obiettivi dello stato di necessità dei singoli membri comunitari, sarà in grado di ripristinare almeno le condizioni teoriche minime da cui tentare la risalita. Questo non è un’apologia degli incapaci, in quanto i responsabili degli istituti di credito che hanno creato nel nostro Paese una condizione di questo genere, non vanno confusi con le loro vittime e cioè i cittadini che hanno affidato agli istituti stessi le loro risorse economiche.
La giustizia distributiva – E’ proprio la carenza di questa condizione che determina la insufficienza del legame politico comunitario, in quanto se non si considerano le particolari esigenze dei singoli Stati membri, si penalizzano le aspettative interne dei cittadini che si rendono conto della scarsa convenienza di far parte della Unione Europea che emana regole contro i loro stessi interessi.
Per rendere meglio l’idea di quale giustizia la UE necessiterebbe tra gli stessi Stati che sono ammessi a farne parte, diciamo che il principio su cui questa si fonda è quello della politica economica che renda paritetici di interventi nei confronti degli Stati membri. Si tratta del principio generale della cosiddetta “giustizia distributiva” che i vertici della Unione Europea dovrebbero assumere, come “minimo comune multiplo” del diritto su cui fondare i provvedimenti nei confronti dei singoli Stati; Stati che si trovano in condizioni agricole, o economiche o finanziarie o produttive diverse dagli altri partners (la disputa sulle quote latte, ad esempio) e che devono pertanto, essere considerati in modo altrettanto diverso per distribuire a tutti la stessa giustizia.
Per fare un esempio, si può dire che in una corsa podistica nel percorso ovale di uno stadio, tutti corridori partono in posizioni diverse per compensare la maggiore o minore lunghezza di pista in modo tale da distribuire a tutti la parità competitiva.
Summa iniuria – Sono invece, le componenti “ ingessate” che paradossalmente minano proprio il concetto di “unio” della Unione Europea, perché non si possono trattare le economie più aggressive che godono di rendita di posizione, come sono di quelle di alcuni Stati tra cui la Germania, con le stesse regole di altri che operano in modo economico e finanziario più marginale.
Non è logico infatti, pensare che al danno economico consolidato nei singoli Stati per opera soprattutto dei loro istituti di credito, si vuole ora costruire delle regole con altri provvedimenti che siano uguali per tutti. “Summa lex” – dicevano i romani – “summa iniuria”. Così come questo istituto comunitario, applicato indiscriminatamente a tutti i Paesi membri, non solo aumenterà la apertura delle cosiddette forbici tra gli Stati, ma rischierà la loro disgregazione.
Più pragmatismo politico – La Unione Europea che fonda la sua coesione non sulla scelta delle decisioni politiche ma sulla comune politica monetaria, è destinata a disgregarsi. Questa disgregazione sarà la conseguenza di una insufficiente condivisione normativa, proprio per la carenza di quella “giustizia distributiva” tra i vari Stati della Unione, che prima di ogni altra considerazione dovrebbe essere concordata, proprio tenendo conto delle singole disparità negli identici settori. Vale la pena di aggiungere che la disparità di rendita di posizione degli Stati membri non è intesa in modo passivo, ma soltanto in alcuni settori produttivi che vengono poi compensati da altri a condizione invertita. Diversamente sarebbe sconveniente per tutti cooptare membri comunitari non in grado di assolvere i compiti ancorché minimi, a cui tutti gli Stati della UE si sono impegnati. D’altra parte quello che poteva essere tentato per ricuperare il recuperabile con tutti i mezzi e in tutti i modi possibili, e stato tentato. Ma avendo superato in negativo in borsa già da un pezzo il break even point della libera posizione di mercato di alcune banche tra cui il Monte dei Paschi, la più antica e benemerita banca del Vecchio Continente (da non confondersi con i direttori), soltanto con un intervento dello Stato sarà ancora possibile recuperare il recuperabile prima del troppo tardi anche per questo. Voglia o non voglia l’Europa, questa è la condizione, e, questo è il compito.