Spense lo scooter nella prima periferia della città e si spostò nel capanno vicino per portarci la latta di benzina.
Faceva freddo, quella sera, ma il suo cuore pulsava forte fino a fargli scoppiare le tempie. La notte precedente non era riuscito a chiudere occhio. La notte precedente era servita per pianificare. Tutto ha un inizio, tutto avrà una fine. Una fine gloriosa.
Si sedette con le gambe incrociate sull’erba alta e rorida e accese una sigaretta. Poi un’altra. La rabbia non lo abbandonava, la rabbia era stata una costante, in questo rapporto -rabbia congenita-, e lei non aveva ancora capito che lui era il maschio. A lui toccava sentenziare, a lui toccava decidere il buono e il cattivo tempo. Anche perché l’anno a venire avrebbe avuto la patente e allora tutto sarebbe cambiato, persino il rispetto, l’onore, sarebbe divenuto un pilastro per la sua immagine.
Certo, oggi faticava non poco ad affermarsi, ma dopo quest’azione di cui tutti ne avrebbero parlato nel sottobosco, dopo quest’azione simbolica, il suo carisma sarebbe cresciuto di pari passo al timore che avrebbe infuso in quanti lo conoscevano. Bisognava agire e bisognava farsi rispettare.
Il rispetto. L’onore. Colpire gli infami. Sbirri di merda.
Sputò per terra con una rabbia indomita e lanciò lontano la cicca ormai consunta. Tutto intorno, le stoppie ormai irrigidite -come il cuore di lei-, rubavano la scena alla natura verde e incontaminata.
La luna piena prese tempo, prima di immergersi fra i morbidi seni delle nubi scure.
Quella notte il cielo avrebbe pianto. Quella notte sarebbe stata la sua ultima da ragazzetto.
Mise in moto lo scooter e si diresse verso casa. Un colpo di reni e si impennò poco prima di fare la curva. Lo divertiva farla su una ruota, pronto a disattendere le aspettative di suo padre che sperava divenisse un bravo ragazzo. La legge della strada è differente.
Il sole si levò appena, il mattino seguente. Un sole pigro e malato.
Si vestì in fretta, facendo attenzione a sistemarsi i capelli in modo che la cresta fosse ben in vista, e uscì senza neppure salutare, come suo solito.
Un colpo secco e lo scooter modificato emise un suono sordo. La vicina chiuse le imposte.
Arrivato a scuola, da lei, le fece la solita scenata di gelosia e la obbligò a salire sullo scooter. La sua amica, dopo tanto tentennare, si avvicinò per separarli, cercando di allontanarla con una scusa. Lui la guardò in malo modo e lei capì che aria tirava. Si mise da parte.
Lui la portò via facendola salire sul sellino dello scooter rosso fiammante, dalla marmitta Leovince che sviluppava almeno dieci cavalli in più.
Per strada lei, nervosa e stanca, rimase impassibile, stringendolo mentre affrontavano con audacia le curve nello sterrato.
Dopo pochi chilometri arrestò lo scooter e la fece scendere. Lì iniziò ad aggredirla verbalmente sulle sue frequentazioni che lui non gradiva, perché davano adito a pettegolezzi e lui non poteva perdere l’onore per poca roba. Sì, perché lei era solo “poca roba”.
I toni si alzarono, come anche le sue mani sulla faccia di lei. Poi, dalla tasca posteriore, lui estrasse un coltello con manico finemente lavorato ed affondò la prima coltellata, mentre di lei si impossessava la paura e la speranza faceva spazio al terrore.
La pelle si squarciava senza freni, dopo i fendenti inferti con furia cieca, e il sangue gli imbrattò la maglietta.
Questo lo fece imbestialire. La lasciò per terra, fra le stoppie, con gli occhi spalancati per la paura, incapace di reagire, mentre si contorceva per il dolore.
La benzina mise fine alle sofferenze.
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