Il pomo della discordia è la vignetta a pagina 16, l’ultima, nell’edizione del 31 agosto del periodico satirico parigino Charlie Hebdo. Una vignetta – di cui si saltano volutamente conosciuti particolari e dettagli – che illustra il terremoto dell’Italia Centrale sotto il titolo di Sisma all’Italiana. Così disegnò Charlie Hebdo. Così il giornale istigò la bagarre.
Fra i più, in mezzo a un crepuscolo di fine estate, nella privata contesa tra l’inveire e il tacere – per non nutrire quel circolo vizioso che si crea in simili situazioni e pubblicizzarle ulteriormente; dopo la svolta decisionale – con l’aforisma casuale di Confucio che recita in bacheca L’uomo che fa molto, sbaglia molto; l’uomo che fa poco, sbaglia poco; l’uomo che non fa niente, non sbaglia mai. Ma non è un uomo – e una volta distanziato il desiderio di non alimentare il dispiacere emesso da vox populi e da elité di affranti che non hanno mandato giù il vedere andare a gambe all’aria il passato e la contemporaneità del Bel Paese per mano di figure e tratti d’altri, si fa spazio l’accenno di replica scontata con scrittura dimessa, priva di saccenza e non di interrogativi (ma, una volta lavata l’onta subita, si è colto poi nelle forme e nel segno la veridicità dei fatti?!?).
Così il fatto: basterà solo il tempo di un batter di ciglia per fare qualche domanda ma molto di più per fare qualche passo indietro e raccontarlo dall’inizio.
Quanta obiettività e quanta satira nella caricatura francese? La medesima quantità della polemica innescata dallo stesso fumetto fino a trasformarlo in caso? Non è ancora il momento delle risposte, le vedremo più avanti.
Così il dito nella piaga. Duro il tratto, macigni le parole, forti e rossi i colori del disegno che riempiono la pagina vuota di ironia tanto che, senza remore e timore, questa tira il fiato e sbraita cruda verità a tutta la Penisola e ai suoi cittadini.
Un colpo potente, fatto di luoghi comuni descritti in malo modo, che ha procurato ancora inutili Amarezza e Indignazione smisurate: voci rancorose univoche dicono che il Dolore meno forte patito è paragonabile alla stregua di un pugno nello stomaco. E’ scontro aperto tra Felix, il vignettista, la redazione del solidale Je suis Charlie dell’attentato terroristico del 7 gennaio 2015 e l’Italia intera.
Si accende una verbale, e non solo, calibrata reazione a catena irriverente. Rabbia, mortificazione, ira, dignità ferita. Offese, motti, insulti e ingiurie.
Odio a sprazzi. Battute infelici. Idee discordanti, cattiveria gratuita, satira, botta e risposta a suon di lapis e quant’altro fino all’intervento con ossequioso cordoglio e diplomatiche dichiarazioni dall’Ambasciata francese in Italia di allontanamento dalla presa di posizione dell’editoriale d’oltralpe unito al post della direttrice dell’Accademia di Francia a Roma, Muriel Mayette-Holtz, con Adesso, rispettiamo il tempo delle lacrime e la disponibilità ad ospitare famiglie vittime del sisma a Villa Medici.
Ma il giornale accusato, imperterrito, non abbandona la linea editoriale e si riserva lo spazio online di un seguito alla discussione sul profilo facebook con una nuova vignetta dedicata: Italiani, non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, ma la Mafia.
Così si gira il coltello nella piaga.
Nel frattempo l’agorà mediatica tutta ha notificato il sold out: in tantissimi non hanno ritenuto vano che fosse il caso di mettersi al loro stesso livello (nel mirino Felix e redazione di Charlie Hebdo ma anche Francia e Francesi) nonostante la causa della verità non ne avrebbe tratto giovamento; in pochissimi sdegnati hanno ammesso con rammarico che malauguratamente la vignetta francese non raffigura il falso, riconoscendo l’esprit della libertà d’espressione al magazine; si contano sulle dita delle mani coloro che nauseati hanno girato lo sguardo altrove pronunciando a denti stretti un no comment e sono rari quelli che non sono stati raggiunti dal racconto e dai commenti sulla vicenda. E non succede nulla e va bene così per coloro i quali, ora, pensano di stare spenti e, naturalmente non sentirsi completamente Charlie passando dall’altra parte della barricata. Anche questo è libertà d’espressione.
Il raccoglimento corale è per le popolazioni terremotate italiane. Il noto scrittore Daniel Pennac, connazionale della testata, considera una connerie, uno scivolone la vignetta di Charlie Hebdo sul terremoto in Italia dichiarando altresì su Repubblica Con la stessa chiarezza con cui dico che quel disegno non mi piace, sono pronto anche ad affermare senza mezzi termini: “Io resto Charlie”. A ognuno le sue responsabilità morali: chi offende i morti ha le sue, e noi abbiamo le nostre.
La critica giunge anche dal nostro Sergio Staino con l’affermazione all’Ansa: Brutta vignetta, meglio ignorarli…Non è la prima volta che, per una scelta provocatoria, decidono di andare contro tutto e tutti in momenti di grande dolore.
Più pesante chi usa, dopo 24 ore, stessi pesi e stesse misure per la risposta, puntando il dito sull’attentato alla redazione di Charlie Hebdo come Il Tempo e la sua vignetta con i corpi crivellati dal terrorista, in alto Cari francesi, una vignetta così vi avrebbe fatto piacere?, mentre sotto c’è la scritta Tartare á la parisienne; oppure come Pillole di Jenus, che per rispondere alla seconda vignetta online francese, nella sua pagina facebook ha pubblicato uno scolapasta, divenuto la redazione che perde sangue da tutti i fori per marcare la negligenza dei Servizi Segreti francesi nel prevedere anche gli attacchi terroristici successivi.
Ma che cosa ha fatto più male, che si sia violato il rispetto della circostanza, che siano stati i vicini francesi a metterci a nudo nel momento più alto della sofferenza oppure lo scoprire senza mezzi termini la realtà nota e taciuta o il vederla sbandierata ai quattro venti mentre ancora si fa la conta dei dispersi e va in onda l’atto dell’esequie in onore delle vittime sotto le gocce delle prime piogge? Probabilmente è stato tutto quanto insieme e ciò mestamente accompagna alla citazione di Cicerone in cui si celebra che La vita dei morti si trova nella memoria dei vivi (Philippicae, IX, 10). Non si è celebrato, né sorriso né riflettuto, si è ribattuto alla provocazione di pancia, e col senno di poi, rinviando ad una più attenta valutazione, non è avallando facinorose opinioni e ostentando ostinate apparenze che onoriamo i defunti e difendiamo la nostra unità e identità collettiva.
Le disgrazie, i danni e i morti dovuti a fenomeni sismici sono diventati di natura ciclica nel Bel Paese: ogni 3-4 anni abbiamo una selezione innaturale da disastro ambientale causato da calamità umana. I terremoti non si possono prevenire ma a quanto pare si possono impedire i decessi degli abitanti di territori ad elevato rischio sismico. Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!, ha affermato il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, nell’omelia della messa funebre ad Amatrice sei giorni fa.
Ed eccoci al punto che ha animato la mano e al contempo dovrebbe aver animato la controversia senza spingere alla vendetta. Vogliamo chiederci perché in queste zone si continua a costruire senza seguire i canoni antisismici? Perché i soldi stanziati per edifici privi di pericoli e messa in sicurezza di quelli già esistenti non vengono utilizzati nell’acquisto dei giusti materiali e nell’uso di manodopera specializzata? Perché continuano ad essere uomini a decidere la morte di altri uomini e non Dio? Perché non si da mai un volto ai colpevoli e nessuno paga per questi omicidi premeditati?
Il barlume di risposta c’è, è ragionevolezza viva che si dimena nel popolo di attivisti, buonisti, nullapensanti e ignoranti. Il barlume di risposta c’è e cova onestà e giustizia, guizza dal lettore più acceso dal caso di discordia suddetto a quello che preferisce rimanere sulle sue e non esporsi dal dare giudizi o fare semplici constatazioni a colui che fa finta di osservare e a chi non è al corrente della circostanza, e ciò imbastisce un senso propositivo e potrebbe non mettere la parola fine alla querelle di questi ultimi giorni. Ma è una risposta che non scagiona e non quantifica il peso della colpa per il crimine consumato il 24 agosto scorso dalla serie di eventi sismici con epicentri nelle province di Rieti, Ascoli Piceno e Perugia (scossa principale alle 3:36:32 magnitudo momento 6,0 ± 0,3, con epicentro situato lungo la Valle del Tronto tra i comuni di Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto). Ad oggi, il bilancio ufficiale provvisorio del terremoto – 295 vittime, 238 persone estratte vive dalle macerie dai soccorritori, centinaia di feriti e più di 2500 sfollati – rievoca pedissequamente, con uno sciame di oltre 3.500 repliche, i toni e le immagini policromi intrisi di silenzio surreale, polvere, calcinacci, peluche abbandonati, strazio, attesa, paura, pianti, gioia, fede, riconoscenza e speranza dei siti colpiti e della sua gente pronta a ricominciare dal niente e con la forza della disperazione, e accettare – prendendo in prestito la frase del giornalista statunitense Norman Cousins – che La morte non è la perdita più grande nella vita. La perdita più grande è quello che muore dentro di noi mentre viviamo.
Maria Anna Chimenti