Fra i palazzi di Parigi – nell’XIII arrondissement vicino Place d’Italie e il Muséum National d’Histoire Naturelle e il Jardin des Plantes – al civico 73 di Avenue des Gobelins, c’è il lumacone, l’opera disegnata dall’architetto italiano Renzo Piano, in cui ha sede la Fondation Jérôme Seydoux – Pathé.
Facendo un passo indietro, simpatizzando, e riponendo a posto il red carpet della 73esima edizione del Festival del Cinema di Venezia, nel primo mercoledì dell’iniziativa Cinema2Day (sconto sul biglietto nelle sale aderenti), disfacciamo qualche incertezza.
Chi è Renzo Piano? Chi sia quest’uomo, pare riecheggi in ogni angolo remoto della terra, ormai.
Per rammentare le gesta dell’architetto genovese agli smemorati, basta nominare qualche suo progetto quale, per esempio, il Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou, sempre a Parigi, conosciuto anche come Beaubourg e realizzato con Richard Rogers o la Shard di Londra oppure l’Auditorium Parco della Musica di Roma. E ci fermiamo.
Ma, che cos’è la Fondation Jérôme Seydoux – Pathé? Detto, fatto: dal 9 maggio 2006 cura e mette a disposizione del pubblico il patrimonio storico cinematografico della Pathé (fondata nel 1896, è stata la più grande compagnia di produzione cinematografica fino alla prima guerra mondiale- oggi Gaumont-Pathé), è centro di ricerca e promotrice della storia del cinema.
E’ una location di lusso per storici, appassionati e maniaci al grido di cinema mon amour, oppure semplici interessati a trascorrere un’originale matinée, tutta alla luce della lanterna magica, quella degli esordi.
Resta da approfondire solo un punto – e non il meno importante – quel qualcosa chiamato lumacone. Et voilà!
A distanza di tempo – dalla sua comparsa a settembre di due anni fa – il visitatore di turno, osservando la costruzione in cui è ubicata la fondazione, sembra non scorgere nulla di così straordinario davanti a sé. Illusione che dura un istante. Dal marciapiede, posizionandosi in attesa e volgendo lo sguardo curioso in alto, su tutto lo stretto esterno dell’edificio, finalmente, s’intravede parte della forma eccentrica del guscio di una gigante lumaca, una grigia cupola che sovrasta di poco il frontone d’autore.
Unica nel suo genere, la struttura, si insinua morbida fra i tetti delle costruzioni accanto. E’ un soffio di modernità viva che si lascia carezzare dai raggi giocosi del sole, illuminandosi qua e là di volta in volta, dominando austera sulla facciata neoclassica – decorata dallo scultore Auguste Rodin nel 1869 – avanzo di pregio del vecchio Théâtre des Gobelins, chiuso nel 2003 e abbattuto.
Oltrepassato l’ingresso e lo stupore, dietro, la meraviglia si conferma. Il corpo principale, l’involucro, attecchito nel bel mezzo di un giardino, appare nelle sue 7000 persiane di protezione impilate, disposte e sovrapposte a copertura sui cinque piani, fino a fiorire nello sfarzo dei pannelli di vetro, di acciaio e di alluminio traforato, materiali contemporanei e lucenti.
Al piano terra, nella sala, fra le trasparenze delle pareti di vetro, che dividono dal primo blocco e dall’oasi verde del retro, la guida, accoglie gli ospiti indiscreti e brusianti, rivelando storia, numeri e curiosità accanto agli schizzi, alle piante, alle sezioni e ai plastici del progetto, mentre l’enorme macchina da presa nell’angolo e, sporadici, colorati poster di vecchi film paiono suggerire un solerte Siete pronti a sognare? A qualcuno torna in mente la frase dell’autore dell’opera, il visionario Renzo Piano – riportata dalla stampa dell’epoca, in occasione dell’inaugurazione, dei modesti 2.200 mq della casa degli eredi dei capiscuola del cinema, Emile e Charles Pathé – che dichiara: Potete vederci un pesce, una balena, una mongolfiera, ci vuole della poesia. Questo edificio si spiega da solo, è stato costruito con tutti gli occhi addosso, nel rispetto delle finestre vicine, senza togliere loro nemmeno un raggio di sole.
Le scale sulla destra, del piano a livello della strada, conducono al primo piano che ospita la sala d’esposizione permanente della lanterna magica: ben 200 apparecchi cinematografici storici, incluse le prime cineprese, i proiettori e i fonografi che resero celebri i due fratelli Pathé. Si osserva tutto nel massimo silenzio. Su una parete, scorrono le figure bianco e nero di uno dei primi film muti, sulle altre sono appese sfalsate locandine di altri tempi. I successivi due piani, sono dedicati agli archivi della società che custodiscono la pregiata collezione ricca di poster, foto, oggetti e costumi e dei documenti amministrativi e giuridici fin dalla sua nascita.
Ma quello che riservano il quarto e il quinto piano, due livelli uniti, dedicati agli uffici e al centro di ricerca, è un’emozione indescrivibile a parole. Varcata la soglia, la luce irrompe radiosa – insieme alla visione, a tutto tondo, dei capolavori haussmaniani lontani una spanna – fra scrivanie, poltrone, computer e volumi mentre il cielo è li, accomodato, a fare da tetto alla grande stanza, condivisa da coloro che vi passano ore di lavoro. Altro colpo d’occhio: maestosamente, alla parete, accanto alla porta, si staglia, l’elegante legname chiaro della biblioteca e dei suoi ripiani, che inseguono linee concave e curve della suggestiva nicchia dall’intelaiatura affannosa di legno, acciaio e vetro mobile translucido. Effetti speciali di un set inimmaginabile. Siamo al cinema? E’ tutto vero? I visitatori assistono affascinati allo spettacolo. E’ il trailer di un movie su schermo da pollici a perdita d’occhio ad alta definizione di ultimissima generazione. E’difficile tornare con i piedi per terra. La guida si vede costretta a spingere gli ospiti distratti alla scala a chiocciola centrale, di cui la bellezza profana il pavimento. I suoi gradini si contorcono quasi fino al tavolo grande, tondo e massiccio del piano sottostante. Ancora una breve sosta al cospetto delle trasparenze della calda volta naturale per apprezzare e respirare quiete. Suonano stridule le altre informazioni della guida, ma la colpa non è sua. L’incantesimo si spezza. Lentamente si va ai piani inferiori conosciuti. Il tour del lumacone è finito? Non ancora.
Resta da vedere il seminterrato. Altra sorpresa, qui è stata ricavata una sala di proiezione da 70 posti, dedicata sia a programmazioni di lungometraggi storici sia a quelle di pellicole in 3D. I turisti del cinematografo occupano le poltrone senza essere stanchi: si assiste al cortometraggio realizzato sul cantiere del lumacone, che svela giorno dopo giorno la nascita del progetto con le immagini che mostrano la messa in opera dall’idea al disegno, dalla prima impalcatura alla struttura finita. Spetta alle parole dell’archistar Renzo Piano, del socio Jérôme Seydoux e della presidente Sophie Seydoux la descrizione del sogno compiuto e completato, un sogno che non è fatto di celluloide ma racconta la vita quotidiana, un sogno che è diventato realtà ma sembra venuto fuori dalla trama delle pellicole che terminano a lieto fine.
Scorrono i titoli di coda mentre il pubblico soddisfatto guadagna l’uscita. Arriva il The End. La matinée è conclusa.
Maria Anna Chimenti