Oggi, in occasione della XXIII Giornata mondiale dell’Alzheimer, culmine della campagna del Mese Mondiale Alzheimer promossa a livello globale, le associazioni dedicate hanno istituito meeting, tavole rotonde, proposte e iniziative di ogni genere, per una forte campagna di sensibilizzazione a fronte di una malattia ancora poco conosciuta dal punto di vista medico scientifico, ma i cui numeri stanno crescendo in tutto il mondo.
A chi va l’onore della scoperta? La malattia di Alzheimer fu descritta per la prima volta nel 1906 da Alois Alzheimer, neuropsichiatra tedesco, in una donna di 51 anni che presentava perdita di memoria, cambiamento di carattere, delirio di gelosia, incapacità a provvedere alle cure domestiche.
Fino agli anni ’70 si consideravano a rischio solo le persone al di sotto dei 65 anni e si parlò di demenza presenile.
Negli ultimi decenni si è accertato che la malattia di Alzheimer, non è affatto un’esclusiva dell’età presenile, e di converso è tanto più frequente quanto più aumenta l’età. Nelle persone oltre i 65 anni, la frequenza complessiva (prevalenza) è circa del 7%; negli 80enni del 30% circa. Questa peculiarità dell’Alzheimer, insieme al costante aumento del numero di persone anziane caratteristico della nostra epoca, contribuisce all’espansione della malattia.
La malattia di Alzheimer è la forma più frequente di demenza. Con il termine demenza si indica un gruppo di malattie contrassegnate da un crescente invecchiamento della memoria e di altre funzioni cognitive. L’inizio avviene in modo subdolo e insidioso, tanto che spesso, nemmeno i familiari si accorgono del suo apparire. Questa malattia neurodegenerativa è causata da un accumulo anormale di alcune proteine nel cervello, di cui un campanello d’allarme – il più frequente ma non il solo, come specificano gli esperti – è la perdita di memoria. Il recente studio condotto dalla Northwestern University e dall’Alzheimer’s Disease Center, ha evidenziato altri sintomi da non sottovalutare. Infatti, a seconda della parte del cervello attaccata, in alcuni casi la malattia potrebbe altresì manifestarsi con perdita di inibizione, difficoltà nella lettura, complicazioni con la scrittura e nel parlare.
Il più delle volte, la demenza in fase avanzata, non è riconosciuta come una malattia terminale al pari di un cancro metastatizzato, nonostante ne condivida molte particolarità.
Di fatto, a paragone con altri malati terminali, i pazienti affetti da demenza hanno un limitatissimo benestare per le cure palliative.
Sono ridotte perfino le cure per il dolore.
Eppure, questo progressivo regresso è tale da ostacolare le più semplici e comuni attività della vita.
Volendo guardare le cifre, nel nostro Paese, l’Alzheimer colpisce circa 600mila persone, ovvero circa 5 over 60 su dieci, e rappresenta un costo di 11 miliardi di euro per l’assistenza, di cui il 73% a carico delle famiglie.
Secondo dati Censis 2016, gli italiani, colpiti dalla malattia neurodegenerativa, sono in crescita rispetto ai 520mila del 2006; cresce l’età media, pari oggi a 78,8 anni rispetto ai 77,8 anni del 2006; sono presenti forme precoci che riguardano circa il 5% del totale dei casi.
Se si amplia la visuale, in base al Rapporto Mondiale Alzheimer 2015, L’impatto globale della demenza: un’analisi di prevalenza, incidenza, costi e dati di tendenza, i costi globali della demenza sono cresciuti da 604 miliardi di dollari nel 2010 fino ai 818 miliardi di dollari nel 2015, registrando quindi un’impennata del 35,4% che si prospetta di giungere a mille miliardi di dollari in soli tre anni.
Nel 2015 sono stati calcolati, nel mondo, 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza (in Italia oltre un milione e duecentomila). Cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni, fino a giungere 74,7 milioni di persone nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050.
Tali stime sono più alte del 12-13% rispetto a quelle pubblicate nel World Alzheimer Report del 2009. Sempre nel 2015, sono risultati oltre 9,9 milioni all’anno i nuovi casi di demenza nel mondo: un nuovo caso ogni 3,2 secondi.
Oggi, grazie alla Federazione Alzheimer Italia (maggiore organizzazione nazionale di volontariato, rivolta alla promozione della ricerca medica e scientifica su cause, cura e assistenza per la malattia, al supporto e al sostegno dei malati e dei loro familiari, alla tutela dei loro diritti legislativi e amministrativi), si sono resi noti alcuni dati contenuti nel Report 2016 dell‘ADI, Alzheimer’s Disease International, Migliorare l’assistenza sanitaria ai soggetti con demenza, e i numeri parlano chiaro: ben 47 milioni sono le persone colpite in tutto il mondo, e queste sono costrette a triplicarsi entro il 2050. E’ stata consegnata una diagnosi solo a circa metà dei malati nei Paesi ad alto reddito e a uno su dieci nei Paesi a medio e basso reddito. In Italia le persone con demenza hanno raggiunto quota 1,241 mln. Il Rapporto contiene anche un’analisi dei modelli assistenziali adottati in Canada, Cina, Indonesia, Messico, Sudafrica, Corea del Sud e Svizzera. È in corso di sviluppo, presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, uno Zero Draft Global Action Plan on Dementia in risposta alle richieste di ADI e di altri soggetti per far fronte al problema globale, sempre più grave, della demenza.
Volendo guardare la realtà, l’analisi della malattia di Alzheimer, purtroppo, è ancora complicata nonostante si sia giunti ad una maggiore consapevolezza che in passato. Il tempo medio con cui si arriva a una diagnosi è di quasi 2 anni: troppo se si considera che il trattamento precoce è spesso la chiave per ostacolare l’escalation della malattia.
Umanamente, per migliorare la conoscenza della demenza e darle voce, basta estrapolare a caso, dal sito della Federazione Alzheimer Italia, tra le tante testimonianze dell’esperienza della malattia, nella sezione dedicata ai familiari, agli amici e a chi si prende cura del malato, la recita di una struggente preghiera …per tutte le persone che si trovano nella mia stessa situazione, di essere forti, di non scoraggiarsi mai, anche se si lotta contro un male terribile che ti distrugge interiormente. Bisogna sempre trovare la forza ed andare avanti, sia per il bene del malato che per i suoi familiari. Lo so che è difficile, sto’ imparando anche io giorno dopo giorno…
Nel frattempo continuano le sperimentazioni scientifiche mondiali per mettere a punto possibili farmaci, ma ad oggi una terapia ancora non esiste.
La rivista scientifica Nature ha pubblicato uno studio della Flinders University di Adelaide, Australia, condotto in collaborazione con l’Institute of Molecular Medicine e l’University of California, Stati Uniti, con cui si sostiene che, nel giro di tre anni, potrebbe essere disponibile il vaccino per l’Alzheimer. Questo vaccino potrebbe abbattere le proteine beta-amiloidi degradate, che bloccano e danneggiano i neuroni, intervenendo nello stadio iniziale della malattia. I primi test sull’uomo inizierebbero nel 2018. Troppo condizionale.
Qual è l’obiettivo a cui si tende e che concretamente si può raggiungere adesso? Associazioni, fondazioni e professionisti aspirano ad una migliore qualità di vita sia per il malato sia per i suoi familiari attraverso strumenti di aiuto concreti.
Si chiedono meno parole e più fatti. Come, per esempio, fa Patrizia Spadin, Presidente AIMA, nella richiesta all’INPS, di dare un segnale e non dimenticare chi dimentica, in riferimento alle indennità di accompagnamento per le famiglie dei pazienti, attraverso una Lettera aperta a Tito Boeri, Presidente INPS, pubblicata sull’homepage dell’associazione, e comunicando che da oggi, 21 di settembre, si apre la Linea Verde Alzheimer dalle ore 8 alle 24.
La campagna di sensibilizzazione proseguirà anche a riflettori spenti per scuotere coscienze ed istituzioni. Si vuole coinvolgere tutti e tutto.
Il segnale è forte: via libera all’insegnamento di stili di vita e di strategie efficaci per migliorare e non perdere i ricordi. La prevenzione è indispensabile. Via libera a dieta mediterranea, esercizio fisico, pratica di hobby e rapporti sociali che agiscono da fattore protettivo. E via libera alle informazioni su come richiedere l’invalidità e tutelare giuridicamente il malato e su cosa significa affrontare e gestire la vita a fianco di una persona che è affetta da Alzheimer. L’appello è rivolto per conseguire un cambiamento dell’erogazione dell’assistenza: puntare verso un’assistenza di base non specialistica con contributi pianificati e coordinati da parte di tutti i livelli del settore sociosanitario. Inoltre occorrono diagnosi precoci e chiari percorsi di cura. Dar vita quindi ad un’assistenza efficace: è necessaria la messa in rete delle diverse professionalità (medico di medicina generale, geriatra, neurologo, psichiatra, psicologo, infermiere, assistente sociale, terapista occupazionale, fisioterapista, operatore socio-sanitario, ecc.). Necessita un metodo non solo sanitario, ma anche multidisciplinare e multidimensionale per formulare un’assistenza circolare e piena, un’assistenza tutta intorno ai malati e alle loro famiglie in modo da farli sentire ancora parte della loro comunità e aiutarli a convivere con la malattia.
Maria Anna Chimenti