Al Teatro “Quirino”, sino al 30 ottobre, è in scena la “regina delle tragedie”, quell’ “Amleto” che ancora rimane la piu’ celebre tragedia di Shakespeare, e uno dei testi-chiave nella preparazione degli attori di teatro, da cui non si può prescindere. La regia di Daniele Pecci, con vari accorgimenti (i costumi in stile anni ’30, sulla falsariga del celebre “Riccardo III” cinematografico di Richard Loncraine degli anni ’90, la scenografia semplicissima, l’inserimento, ogni tanto, di battute d’attualità, ecc…), vuol sottolineare fortemente la modernità di questo testo. Che, alla pari appunto del “Riccardo III” e del “Macbeth”, scandaglia a fondo i piu’ oscuri meandri dell’animo umano, e la ricorrente tentazione di sacrificare tutto – dignità, onore, affetti anche piu’ cari – alle sirene del potere.
Il testo di Shakespeare – che va in scena nel quattrocentesimo anniversario della morte del “Grande bardo”, e a 415 anni, probabilmente, dalla sua composizione (1601 o ’02) ci pone davanti Amleto, un uomo solo. Solo con la sua coscienza, come del resto anche Macbeth e Riccardo III: ma, diversamente da questi, Amleto è un eroe positivo, un uomo che non vuol cedere al male, diremmo un Catilina del ‘600, che non può accettare le ingiustizie familiari e sociali, o quasi un Silone “ante litteram”, che cerca la sua “Uscita di sicurezza” tentando sempre di non venir meno ai suoi doveri e al suo onore. “Essere o non essere?”, recita Amleto nel celeberrimo monologo dell’ Atto III. E’ piu’ degno sopportare i colpi, gli strali della fortuna avversa oppure, armati di tutto punto, precipitarsi contro il mare delle proprie sfortune e, combattendo furiosamente ( immagine, questa, tipica tra l’ altro degli antichissimi scrittori sassoni), sconfiggerle? Dar seguito alla verità rivelata dallo spettro e vendicare il padre, oppure adagiarsi, conformarsi e aspettare la morte dello zio per ereditare il regno, essendo appunto Amleto il principe designato?
Ma dinanzi allo stesso dilemma sono posti anche Claudio, il re assassino e usurpatore, e Gertrude, madre di Amleto. Il primo assetato di ricchezza, potere, sesso, proverà a far passare Amleto come pazzo, per allontanarlo, imbrigliarlo, eliminarlo. E Gertrude, traditrice, connivente, forse complice di Claudio: che, guardandosi dentro, per un attimo vede nella sua anima macchie nere e profonde che non si cancellano. A combattere i due, è appunto Amleto, in certi momenti un Giovanni Battista laico che non ha paura di rimproverare a un Claudio/Erode il suo falso e interessato sentimento per Gertrude/Erodiade.
Intorno a questi, altri personaggi, pure attualissimi. Dal ciambellano Polonio, uomo di corte, sin troppo zelante e asservito al potere, ai compagni di gioventù di Amleto, falsi amici, spie nelle mani di Claudio. Ad Ofelia, figlia di Polonio e oggetto, un tempo, dell’amore di Amleto, che mantiene una sua purezza, e che, forse intuendo la verità, prima impazzisce e poi si suicida, una volta giunta a conoscenza della morte del padre ( proprio a lei, tra l’altro, Francesco Guccini dedicò, tanti anni fa, una delle piu’ belle canzoni del suo secondo LP, “Vent’anni dopo”) . A Laerte, figlio di Polonio, combattente fiero e con il senso dell’onore, ma proprio per questo altamente manipolabile da un uomo senza scrupoli come il re Claudio.
Lo stesso Daniele Pecci, fisico e vestiti da giovane intellettuale, è un credibile Amleto. Maddalena Cripa, un altrettanto credibile Gertrude. Bravi anche tutti gli altri interpreti, e molto curate anche le luci, capaci di ricreare improvvisamente gli spalti notturni del castello di Elsinore come lo sfarzo delle sale di corte.
Fabrizio Federici