Il racconto della donna è denso di emozioni adrenaliniche per entrambi gli attori, sia per l’oratore sia per l’uditore, e lascia nell’aria residui di passato che contagiano il vuoto taciturno. Lo scambio di un paio di strambi botte e risposte rimette nell’animo l’umore giusto per continuare. Così Veronica accavalla le gambe, butta indietro la testa, sistema una ciocca disordinata, raccoglie il volto nella mano su cui posa il mento e riprende il filo da dove si era interrotta. Play. Rec.
Breve suspense. Dove ero rimasta. Ah, si. La comunicazione dell’esito positivo dell’ago aspirato. Tumore al seno. A quel punto chiesi maggiori spiegazioni al medico. Avevo bisogno di chiarezza. Non volli assolutamente che mi si nascondesse qualcosa. Fui sottoposta ad altre analisi, una seconda mammografia, un’altra ecografia e la visita clinica. Cinicamente tutte confermarono il cancro.
Il tempo diventa “non abbastanza tempo”. Un limbo disperato e pieno di speranza. Eccola ancora quella figura, il refrain che scandirà i giorni a venire: sono io, Veronica, allo specchio che parlo da sola e le lacrime scivolano lente e salate, bruciano e mi solcano il viso. Veronica is strong!
Fugato ogni dubbio, chiesi l’incontro con il medico, l’oncologo, che si sarebbe occupato del mio caso per altre informazioni sulla malattia, sulla procedura, sulla cura, sui tempi, su medicinali, su controindicazioni.
Più conoscevo il nemico più mi sentivo forte. Ero pronta ad affrontare tutto. Ero pronta e volevo farlo prima possibile, volevo sorprendere la malattia come aveva sorpreso me. Sgominarla.
Con Marco decidemmo di procedere subito per il ricovero e l’intervento chirurgico, propostomi per togliere le parti malate. Sciogliemmo i nodi legati alle problematiche del quotidiano. Fummo impassibili e freddi allo spasimo pur di predisporre al meglio i mesi successivi. Dei bambini si sarebbero presi cura i nonni, sia i miei genitori sia quelli di Marco, alternandosi nel compito per non affaticarsi. Per il mio lavoro non ci furono intralci di sorta. Marco si organizzò con i colleghi con il beneficio illimitato del suo capo. Eventualmente avrei avuto disponibile l’appoggio fisico e morale delle amiche più care, bastava chiederlo.
Più parlavo del nemico più trovavo solidarietà per competere e combatterlo. Che cosa è successo dopo? Mi venne tolto il cancro al seno e anche quei linfonodi del cavo ascellare. Salto i particolari della degenza e senza preliminari arrivo al dunque. Da buona paziente passai a fare radio e chemioterapia. Un percorso arduo, uno sforzo notevole. Certo una situazione difficile, che riuscì a superare perché circondata dall’affettuosità di famiglia e parenti, oltre al mix equilibrato di professionalità e umanità dei medici con cui fui in cura, sempre disponibili a sostenermi, consigliandomi e mettendomi al corrente, nei minimi dettagli, di ciò che stavo affrontando.
Non sono mai stata abbandonata a me stessa anche nei momenti più critici e pesanti. Un altro punto a mio favore. Un privilegio che mi consentii una buona reazione alle terapie. Riuscii ad andare perfino in vacanza con i miei amici tra agosto e settembre di quell’anno. Fu una villeggiatura piena di relax e con attività annesse quali gite in bicicletta, passeggiate ed escursioni. Uno svago in barba al ciclo di chemio.
Stop.
Maria Anna Chimenti