“Shining” a Scampia. Così potremmo ironicamente sintetizzare questo “Notturno di donna con ospiti”: la pièce, di Annibale Ruccello, andata ultimamente in scena al “Quirino”, per la regìa di Enrico Maria Lamanna, con una grande Giuliana De Sio. Che qui è Adriana, frustrata e annoiata casalinga campana che porta avanti stancamente , quasi per forza d’ inerzia, una vita che ha per unico orizzonte casa, figli piccoli da accudire, una madre tirannica e un marito, Michele, a dir poco distratto, e il più delle volte assente a causa del suo lavoro di guardia notturna. Il tutto, ci fa capire il testo, in uno di quei disumani, e desolati, agglomerati urbani dell’ hinterland di Napoli, resi famosi dalla “Gomorra” cartacea e cinematografica. Ma la storia qui è del tutto diversa: in sostanza (tra il Kubrìck di “Shining”, dicevamo, e l’ Edward Albee di “Chi ha paura di Virginia Woolf?”), la storia del graduale collasso psicologico di Adriana, sadicamente indotto – sino alle porte della follia- da un Michele forse ansioso d’ emulare le gesta di Salvatore Parolisi con la sua amante.
Proprio una delle tante serate estive – con un caldo asfissiante – in cui appunto Michele deve andare al lavoro, Adriana, rimasta sola, vede piombarsi in casa una vecchia compagna di scuola (Rosaria De Cicco), diversissima da lei per carattere ed esperienza di vita, in fuga (così dice) da un tentativo d’ aggressione; nonché, poco più tardi, il suo settentrionale compagno. Arriverà., infine, anche Sandro, vecchia fiamma della stessa Adriana, ora amico dei due.
Mentre lo stesso Michele rientrerà improvvisamente dal lavoro, sorprendendo ( senza particolarmente scomporsi) Adriana in tenere “evasioni” col compagno dell’ amica. In questa piena, classica unità aristotelica di tempo, luogo e azione, si dipana la perversa matassa preparata da Michele e dagli altri tre: che fra tormentose rivisitazioni del passato ( con apparizioni anche dei genitori di Adriana),sensi di colpa e di vera e propria nullità indotti e frequenti colpi di scena, porta Adriana – un po’ come il Jack Torrence di “Shining” ai confini della vera follia. Ma la conclusione, del tutto imprevedibile, vedrà invece Adriana riprendere – pur in un contesto tragico, da “Medea” di Euripide- un inaspettato ruolo di protagonista. Gino Curcione, Andrea De Venuti, Francesco Di Leva, Luigi Iacuzio sono gli altri comprimari; la scenografia, semplice ma accurata, di Roberto Ricci riproduce pienamente l’ atmosfera d’ una piccola casa a un piano con giardino, come tante delle nostre periferie urbane.
Dall’ 8 al 20 novembre, invece, al “Quirino” è in scena “I Malavoglia…” : adattamento teatrale del celeberrimo romanzo di Giovanni Verga del 1881, con regìa di Guglielmo Ferro ( figlio del mitico Turi). Una schiera di validi attori ( Ileana Rigano, Rosario Minardi, Vitalba Andrea, Francesca Ferro, Vincenzo Volo, Rosario Marco Amato, Pietro Barbaro, Mario Opinato, Nadia De Luca, Ciccio Abela, Giovanni Arezzo, Giovanni Fontanarosa, Verdiana Barbagallo, Gianni Sinatra, Gianmaria Aprile) dà vita sulla scena a questo testo, che potremmo definire quasi un “Guerra e pace” italiano.
L’adattamento teatrale è centrato sugli eventi più significativi che segnano la vita della famiglia Toscano di Acitrezza, sulla costa occidentale della Sicilia: soffermandosi sui quali, Verga punta quasi a negare ogni speranza d’ emancipazione dei suoi personaggi. Verga, infatti ( diversamente da com’è stato letto, in passato, da certa critica superficiale), non è affatto vicino alle idee socialiste, o comunque di riscatto sociale: la pietà che gli prova per i suoi sventurati personaggi non esce da una fatalistica- tipicamente siciliana, diremmo – consapevolezza d’ essere loro condannati a non poter uscire da un destino di povertà e di disgrazie .
È, questa, la celebre “morale dell’ostrica”, del grande scrittore verista.
La riscrittura teatrale pone al centro dell’azione la Natura. Scandendo lo spettacolo nei passaggi narrativi delle tempeste, delle morti in mare: la tempesta dove si perde il carico dei lupini ( acquistato nella speranza di rivenderlo a buon prezzo) e muore Bastianazzo; la morte di Luca, nipote del patriarca Padron ‘Ntoni, capofamiglia, nella battaglia di Lissa del 1866 ( un’altra delle vergognose sconfitte belliche nostrane…), su una nave da guerra. La tempesta in cui Padron ‘Ntoni si ferisce ( e in seguito alla quale è poi costretto a vendere la “Provvidenza”, la piccola imbarcazione da anni usata dalla famiglia per pescare). Uno spettacolo in pieno stile verghiano, appunto, con ben poche aperture alla speranza d’ un domani migliore ( dieci anni dopo la pubblicazione de “I Malavoglia”, ricordiamo, la rivolta dei “fasci siciliani” del 1891- ’94, duramente repressa dal governo Crispi, segnerà l’esplodere della rivolta dei “Vinti”.
Fabrizio Federici