L’Ufficio di presidenza delle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia ha chiesto più tempo per esaminare la pioggia di emendamenti sul decreto. Sel: “Il problema è innanzitutto culturale”. La Lega: “Norma vergognosa”.
“La violenza contro le donne non è una questione emergenziale e meno che mai un problema di ordine pubblico, ma un problema strutturale del rapporto tra i sessi e della relazione uomo-donna. Le misure per combatterla, quindi, devono partire da questi elementi”.
Queste le parole con cui Titti Di Salvo, vicepresidente di Sel alla Camera, ha commentato lo slittamento del dl sul femminicidio, che sarebbe dovuto approdare nell’Aula della Camera già da alcuni giorni. Causa dello slittamento, la richiesta di maggiore tempo da parte dell’Ufficio di presidenza delle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia al fine di valutare gli oltre 400 emendamenti presentati. Una richiesta, questa, che ha ottenuto il deciso sì dei capigruppo di Montecitorio.
E mentre Sel insiste sull’importanza di prendere maggior tempo per l’esame del decreto che scadrà il 15 ottobre , perché utile ad “approfondire maggiormente gli aspetti criticati nel corso delle audizioni dalle associazioni di donne, di magistrati, dal sindacato e dai centri antiviolenza”, critica è la voce dei deputati del Carroccio. “Il governo Letta e la sua maggioranza – hanno incalzato Nicola Molteni, Matteo Bragantini e Cristian Invernizzi – sono pronti a varare nel decreto sul femminicidio un’altra norma a beneficio esclusivo degli immigrati che rappresenta una vera e propria vergognosa sanatoria”. Hanno poi aggiunto: “grazie all’articolo 4 del decreto, infatti, sarà concesso alla vittime straniere che abbiano subito violenza in ambito domestico un permesso di soggiorno per scopi umanitari con durata illimitata. E’ ormai chiarissimo – hanno concluso – che questo esecutivo si occupa esclusivamente di immigrati e stranieri”.
Quel che è certo, è che dal 2002 nel mondo, stando ai dati Oms, il 35% delle donne subisce nel corso della vita qualche forma di violenza da parte di conoscenti. Dati, questi, che fanno rabbrividire e che rivelano le atrocità di un problema, di una piaga, innanzitutto culturale. Perché riconoscere le radici del problema prima di tutto nel sistema culturale proprio di una sociètà, permette di svelarlo, nominarlo e di rendere pubblico il nesso tra violenza e stereotipi.
Un assunto, questo, alla base della Convenzione di Istanbul che, ratificata di recente, costituisce un passo fondamentale verso un concreto cambiamento. Essa, infatti, definisce e riconosce la violenza sulle donne e domestica una violazione dei diritti umani e decreta il principio secondo cui ogni persona ha il diritto di vivere lontana da ogni forma di violenza, ponendo inoltre agli Stati il vincolo concreto del raggiungimento dell’uguaglianza tra i sessi. Un’uguaglianza de jure e de facto che vuole agire innanzitutto sui modelli di famiglia ancora impiantati su rapporti di coppia di tipo gerarchico. Gli stessi che celano un’idea dell’amore stravolta dalla logica del possesso e che hanno reso per troppo tempo ‘normale’, socialmente accettabile, inevitabile la violenza sulla donne.
di Mariangela De Maria