di Alberto Zei
Archeologia comparata – Nel contesto archeologico tra Lazio e Toscana nello scorso agosto, “PaeseRoma” aveva trattato argomenti di comune interesse sulla valorizzazione della via Francigena con il supporto del Comitato Nazionale pro Loco Italia (UMPLI). Infatti nell’ articolo, “L’archeologia comparata tra Lazio, Umbria e Toscana – Il caso della tomba ipogea all’Elba“, fu affrontato anche l’ interessante tema del ritrovamento di un sepolcro etrusco del VI secolo a.C. nelle alture granitiche dell’isola d’Elba.
Si trattava di un ipogeo a cui venivano date diverse interpretazioni circa la sua origine, anche se alla luce del semplice buon senso, certe ipotesi non trovavano alcun supporto di ragionevolezza. Siamo adesso soddisfatti di aver trattato precedentemente questo importante ritrovamento archeologico destinato all’ eternità, in quanto scavato nella sua architettonica forma nel granito, ovvero, in una delle più dure rocce della Terra. Si tratta di un sito archeologico – appartenente in primo luogo a tutti cittadini del mondo come ogni bene culturale di grande valore – che oggi, purtroppo, è disinvoltamente utilizzato e pubblicizzato come se fosse stato un luogo di coniazione (zecca) post medievale.
Le ipotesi ricorrenti – Come si ricorderà, le ipotesi al riguardo, oltre a quella di monumento sepolcrale etrusco, erano che si trattasse di una zecca degli Appiano, Signori e poi Principi di Piombino e dell’Elba, oppure di una neviera, vale a dire di un luogo in cui venivano conservati neve e ghiaccio.
La via del ferro etrusco
Nel corso del tempo in cui le polemiche sono apparse soprattutto nei giornali locali, anche da parte di Paese Roma vi era stato un interessamento, accompagnato dall’auspicio che, in un più o meno prossimo futuro, finalmente si arrivasse alla definizione circa l’origine e la funzione di questo sito.
Il Viceprefetto dell’Isola d’Elba, circa due anni fa, aveva tentato di contribuire a chiarire l’equivoco ed aveva interessato allo scopo, a Roma, le strutture ministeriali, nonché le Soprintendenze di Firenze e di Pisa ed altri esperti del settore archeologico al fine di ottenere, dopo gli auspicati chiarimenti, una definitiva attribuzione ufficiale di questo importante sito. Anche in linea politica dove la questione è divenuta nota, la Senatrice toscana Sara Paglini con un nutrito gruppo colleghi di M5S, ha formulato al Ministro dei Beni Culturali, Franceschini, un’ interrogazione di sindacato ispettivo.
Ebbene, senza andare oltre, va subito detto che il ricorso alla archeologia comparata tra la struttura architettonica dell’ipogeo di Marciana e la nota tomba etrusca di Castellina in Chianti, mostra un’ inequivocabile simmetria per qualità di forma e strutturazione. In questo caso, l’indice statistico di confidenza, ovvero, di attendibilità che entrambe le strutture appartengano alla medesima natura, assume valore matematico di tutta affidabilità.
Un parere professionale – L’ultima notizia in senso cronologico assunta, è stata quella di un illustre studioso, il Prof. Francesco Mallegni che ha scritto una lettera sull’ argomento; lettera da lui firmata che all’ Elba il quotidiano on line “Tenews” ha già pubblicato la settimana scorsa.
Si tratta di un intervento meritevole di considerazione per il fatto che l’ autore è uno dei più insigni antropologi del mondo ed è, soprattutto, di un’obiettività cristallina, tale che mai sosterrebbe un’ipotesi di cui professionalmente non sia più che convinto.
La panoramica cittadina di Marciana e le sue alture granitiche
Si tratta di una precisazione che esclude ogni attribuzione, tra le varie le formulate, diversa da quella della tomba etrusca e che si commenta da solo. Lo riproponiamo a supporto delle notizie ai nostri lettori su questo argomento. Alla luce di quanto afferma il Prof. Mallegni, non vi dovrebbero ormai essere ulteriori dubbi che l’ipogeo di Marciana all’isola d’Elba rappresenti una delle più importanti scoperte di architettura sepolcrale relative all’antica Etruria. Ecco il testo.
“Ma che zecca, ma che neviera!
L’Elba, isola bellissima e ricca di storia, mi ha attratto fin da quando, nel 1973, studiai i resti umani eneolitici della grotta di S. Giuseppe presso Rio Marina. Da allora, in giro per il mondo, mi sono occupato di paleoantropologia, ma ho anche partecipato a parecchi scavi di tombe e di insediamenti antichi in Toscana, nel Lazio, in Sicilia, in Sardegna, a Malta, a Cipro, a Lemno, in Egitto, in Grecia. E per molti anni ho collaborato con insigni studiosi di archeologia (Proff. Beschi, Carandini, De Vita, Rizza, Radmilli, Cremonesi, ecc.) anche nella prestigiosa Scuola Archeologica Italiana di Atene, dove ho avuto l’onore di insegnare. Per questo, e perché a discutere del problema si sono spesi perfino illustri profani, vorrei dire pure io la mia sull’ipogeo di Marciana.
Partiamo da un dato di fatto: l’ipogeo è stato scavato nella granodiorite, una roccia molto dura. Almeno su questo sono tutti d’accordo: il geologo prof. Garzonio dell’Università di Firenze, l’etruscologo prof. Donati dello stesso Ateneo, la Soprintendenza Archeologica, la Soprintendenza alle Belle Arti, i maestri scalpellini elbani e chi più ne ha più ne metta. Se si prova a dare una picconata a uno dei tanti speroni di granodiorite emergenti vicino all’ipogeo, ci si accorge che il piccone lo scalfisce appena, quasi ci rimbalza. Conseguenza diretta è che per sottrarre decine di metri cubi a quel tipo di roccia, con il fine di ricavare un’architettura a forma di croce, ci sono voluti parecchi denari e un buon numero di anni.
Un lavoro ciclopico e dispendioso a quale scopo? È stato detto, un po’ troppo semplicisticamente, che il fine era quello di farci una zecca o una neviera dei principi Appiani. Sono ipotesi che si azzoppano da sole per illogicità lampante. A meno che chi le ha sostenute non provi, documenti alla mano, che gli Appiani erano mattacchioni che passavano la loro vita divertendosi a fare enormi buchi geometrici nel granito.
Insomma, è da escludere che in origine l’ipogeo fosse una zecca o una neviera. Tali supposizioni sono state fondatamente demolite dalle colleghe Lucia Travaini (Università di Milano) e Barbara Aterini (Università di Firenze) che, da ottime specialiste della loro materia, hanno spiegato per filo e per segno il perché.
E allora? Cos’altro può essere questa notevole architettura sotterranea di Marciana? La prima impressione è che sia una tomba etrusca e più la si analizza più l’impressione trova conferme, tanto più che il recente rilievo con laser scanner 3D effettuato sulla tomba etrusco-arcaica di Castellina in Chianti (Siena) ha mostrato una stretta affinità planimetrica fra i due ipogei.
Una disamina accurata del monumento marcianese è stata fatta da tre apprezzati studiosi (Carlo Alberto Garzonio, Giuseppe Centauro, Michelangelo Zecchini) nella rivista scientifica a diffusione internazionale RA/Restauro Architettonico (2/2015), regolarmente sottoposta al meccanismo del peer review. Per chi non lo conoscesse, spiego che cosa vuol dire. Si tratta di una regola che, a garanzia dell’affidabilità delle opinioni espresse, prevede la revisione insindacabile da parte di altri colleghi esperti. Essi giudicano il lavoro sotto il profilo della congruenza logica e scientifica e in base alle conoscenze attuali sulla disciplina. Se il saggio non supera la revisione, non viene pubblicato. La ricerca di cui stiamo parlando, interdisciplinare, è stata regolarmente accettata e pubblicata con il titolo “Conservazione dell’architettura funeraria etrusca. Il caso dell’ipogeo di Marciana scavato nel granito”. Gli autori hanno concluso che si tratta di un monumento sepolcrale etrusco del VI secolo a. C., portando numerose e condivisibili argomentazioni a supporto della loro tesi.
Oggi non vedo all’orizzonte altre ipotesi che abbiano un minimo di validità. Se qualcuno ce le ha, le manifesti. Naturalmente non sullo strillozzo di Val di Lalleri, ma su una rivista di valore scientifico equivalente.
Francesco Mallegni
già professore ordinario di Antropologia all’Università di Pisa già docente presso le Università di Siena e di Palermo (distaccamento di Agrigento)”