A Roma la mostra “100 Presepi” si apre all’immaginario cristiano medioevale
Roma – A pochi giorni da Natale non si può non parlare di Natività. E quando si parla di Natività ci viene spontanea e immediata l’immagine della capanna/grotta, con annessi bue asinello e mangiatoia. Insomma il presepe nella forma più classica e canonizzata. Proprio quello che, in rappresentazioni da tutto il mondo e di varie epoche, sarà esposto a Roma alle Sale del Bramante (Piazza del Popolo) fino al 6 gennaio 2011 per la 35esima edizione della mostra “100 Presepi” . Ma il bue e l’asinello (insieme alla grotta) non sono citati in nessun vangelo canonico ma invece appartengono ad una tradizione che si fa risalire a san Francesco d’Assisi che nel 1223 inserì i due animali in una natività rappresentata a Greccio (Rieti). Secondo i vangeli, quando Maria diede alla luce Gesù a Betlemme “lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo”(Lc 2:7). Per gli storici il dubbio maggiore è dato proprio da quest’ultima parola poiché l’originale greco kataluma significa anche “riparo” oppure “zona notte” o una camera in una casa privata. Infatti a quel tempo le abitazioni erano costruite su due piani, quello inferiore dei quali era effettivamente adibito a stalla (inoltre Giuseppe era originario di Betlemme ed è improbabile che la sua famiglia si sia rifiutata di ospitare la moglie in travaglio). In ogni caso nei vangeli non è citato neanche il luogo del parto; si dice però che quando arrivarono i Magi “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre”(Mt 2:11).
A proposito dei (Re?)Magi. L’unico testo canonico che accenna a questo episodio, dedicandogli 12 versetti, è il vangelo di Matteo ma né qui né nel vangelo apocrifo di Giacomo si dice quali fossero i loro nomi o quanti fossero. Tralasciando l’origine della parola “magi” (variante del termine “maghi” che si riferisce ai sacerdoti dei Medi) basterà sapere che il loro omaggio insieme all’offerta di doni sono stati annunciati nel Vecchio Testamento, ma dettagli come l’oro l’incenso la mirra quanti fossero e quali fossero i loro nomi e tantomeno che fossero re sono dovuti a testi armeni di epoca medioevale e scritti per rendere più famigliare la figura del Messia ai popoli orientali.
Fondamentale per una tradizionale rappresentazione dell’episodio è anche la stella cometa che ha guidato i Magi a Gerusalemme dall’Oriente: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”(Mt 2:2). Gli astronomi confermano in realtà che una congiunzione fra Giove e Saturno (che quando si trovano in quella posizione appaiono dunque come un unico astro molto luminoso) è avvenuta nel 7 a.C. per ben tre volte, quando di norma si ripete ogni 854 anni. Ma allora la cometa? Fu opera degli artisti italiani del Trecento, primo fra tutti Giotto che aggiunse la cometa negli affreschi per la Cappella degli Scrovegni a Padova probabilmente ispirato dall’apparizione della cometa di Halley nel 1301.
Un altro elemento importante, i pastori, sono la spia di un problema forse anche più grande: la data di nascita. Posto che l’anno è fissato per il 7 a.C. (dal momento che Erode muore nel 4, che Luca parla di un censimento che effettivamente si tenne tra l’8 e il 7 e che sempre in quest’anno è apparsa la “stella”), resta il dubbio del giorno. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge”(Lc 2:8). Ma nella zona di Betlemme le temperature sono troppo basse, spesso sotto lo zero, in questo periodo; quindi o l’episodio è inventato oppure non era inverno. Nell’Impero romano gli anni si contavano dalla fondazione di Roma, fino a quando nell’Alto Medioevo il monaco Dionigi il Piccolo introdusse il criterio dell’Anno Domini che contava le annate a partire dall’annunciazione a Maria, secondo lui avvenuta il 25 marzo del 753. Infatti fino al III sec. il Natale si celebrò in marzo in Tunisia e in maggio in Egitto, finchè nel 274 l’imperatore Aureliano istituì a Roma il culto del Sol invictus, stabilendo di festeggiarne il “dies natalis” appena dopo il solstizio d’inverno, quando le giornate si allungano segnando il ritorno della luce. Intorno al 352, poco dopo la legalizzazione del cristianesimo nell’impero, papa Giulio I fece coincidere la festa pagana con il “giorno natale” di Gesù.
Maria, la Vergine, la figura chiave del cristianesimo, tutti sanno che concepì per opera dello Spirito Santo e che, carnalmente, non conobbe uomo; ma non tutti sanno che il dettaglio della verginità serviva principalmente a confermare la profezia del V.T. e che l’originale ebraico parla genericamente di “giovane donna” tradotto in greco con parthenos che vuol dire anche, ma non solo, “vergine”. Alessia Forgione