Alla periferia di una Roma futuribile c’è Torre Elettra, dove la legge non arriva, la giustizia non è più istituzione, il sangue chiama sangue. A Torre Elettra c’è una famiglia segnata da violenze, tradimenti, omicidi, si discute di una vendetta da compiere, sullo sfondo dei postumi di una guerra civile fra il potere statale e i cittadini delle periferie in rivolta. Un’Orestea contemporanea dei sobborghi, dove i vincoli familiari e di sangue fanno i conti con la deriva dei concetti occidentali di giustizia e Stato postmoderni.
Il nuovo lavoro drammaturgico-registico di Giancarlo Nicoletti (segnalazione Premio Hystrio – Scritture di Scena 2016) e della compagnia Planet Arts Collettivo Teatrale trova nel paradigma classico una nuova cartina tornasole per raccontare le contraddizioni della contemporaneità, la spirale dei legami familiari, lo smarrimento di senso dell’uomo moderno e il rapporto dialettico fra il singolo e lo Stato. Una riscrittura originale del mito che guarda alle recenti involuzioni del concetto di democrazia occidentale, per riannodare un filo che arriva fino ai tragici greci, non prima di essere contaminato dalle riflessioni e dai contributi di autori come Pasolini, Von Hoffmanstal, Sartre, O’Neill, Icke, Marguerite Yourcenar. Torre Elettra è il lavoro inedito di Planet Arts Collettivo Teatrale, pluripremiata compagnia under 35, fra le rivelazioni della scena romana e nazionale delle recenti stagioni. Protagonisti di questa nuova produzione sono Valentina Perrella, Liliana Massari, Cristina Todaro, Luciano Guerra, Alessandro Giova e Matteo Montalto, in prima nazionale, per il cartellone della stagione 2016/17, dal 19 al 29 Gennaio al Teatro Brancaccino di Roma.
Sullo sfondo di una Roma futuribile, dove le periferie ottengono l’indipendenza dallo Stato repubblicano dopo una guerra civile, si stagliano le vicende familiari dei protagonisti, obbligati dagli eventi a comprendere il senso ultimo del concetto di giustizia, fra legge di natura e legge degli uomini, fra anarchia e democrazia. Cosa succederebbe se il singolo non avesse più uno Stato organizzato a fare da garante dei suoi diritti? Quali possono essere le implicazioni future dell’inarrestabile negazione delle istituzioni democratiche, per come ne ha abusato l’Occidente, e per come la recente ondata di sfiducia le sta mettendo in discussione? C’è ancora spazio per una legge del più forte? Questi sono alcuni degli interrogativi che il testo fa cortocircuitare, riproponendo modelli di comportamento e dubbi comuni a tutte le civiltà, circa i legami di sangue e la loro ineluttabilità, il concetto di vendetta, la reale funzione della pena, il dubbio eterno fra espiazione e perdono. Il tutto in un involucro cinematografico, scattante, dinamico: uno spettacolo da stop-and-go, classico nei fini, contemporaneo nei mezzi, che ambisce a parlare al pubblico con l’immediatezza e la grandezza tipiche del teatro greco, ripensato, tuttavia, in termini di attualità – stilistica, contenutistica e drammaturgica – e declinato in una necessaria semplicità del mezzo, conferendo una dignità nuova al concetto di trasversalità e universalità, in linea con l’esprit e la funzione stessa della tragedia.