Prima di iniziare a riferire il dialogo con la dottoressa Paola Lancia (attività ambito psicologia dell’emergenza), terapeuta EMDR, per una delucidazione sugli effetti del trauma in progress vissuto dalla gente terremotata, con brevi linee tracciamo la giornata segnata dagli eventi sismici attraverso le osservazioni riportate dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). L’istituto ha localizzato circa 200 movimenti tellurici di magnitudo maggiore di 2.0 tra le province dell’Aquila – Montereale, Pizzoli, Capitignano, Campotosto, Cagnano Amiterno – e Rieti – Amatrice – da questa mattina alle 17.00 di oggi. Sono nell’area della provincia dell’Aquila, i 4 eventi, di magnitudo maggiore di 5, avvenuti alle ore 10.25 di magnitudo ML 5.3 (Mw 5.1); ore 11.14 di magnitudo ML 5.4 (Mw 5.5); ore 11.25 di magnitudo ML 5.3 (Mw 5.4); ore 14.33 di magnitudo ML 5.1 (Mw 5.0).
Quattro forti terremoti, in solo quattro ore o poco più, localizzati dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV in un’area lunga circa 10-15 km in direzione appenninica e larga circa 5-6 km situata in una zona a pericolosità sismica molto alta, e compresa tra l’area interessata dalla sequenza sismica del 2009 (che colpì l’Aquila alle 3.32 della mattina del 6 aprile con una scossa di magnitudo 5.8) e la parte meridionale della sequenza sismica iniziata il 24 agosto scorso in Italia centrale.
E’ dell’INGV la conferma che fa parte del sistema di faglie dei Monti della Laga (il cui settore più settentrionale si è attivato proprio con il sisma del 24 agosto 2016), la faglia coinvolta dagli eventi di questa mattina.
Mettersi nei panni della gente dei luoghi colpiti è inimmaginabile. Un’emergenza continua scandita dal gelo, dalla neve, dalle scosse. Traumi a percussione dal 24 agosto dello scorso anno. Le domande sono spontanee. Ma che succede alle persone in simili circostanze, come si reagisce, chi può essere d’aiuto in questi tragici frangenti? Le risposte dettagliate a chiarimento, riposte di seguito, in una serie di telefonate succedutesi in questi mesi fino ad oggi, grazie alla cortese disponibilità della psicologa e psicoterapeuta Paola Lancia.
Dottoressa, gli effetti di un sisma possono essere fisici e psicologici. I primi sono visibili e trattabili al momento, i secondi sono a volte meno percepibili e prevedibili e richiedono più circospezione e discrezione. Quale potrebbe essere una prevenzione delle possibile conseguenze psicopatologiche di un individuo a breve, medio e lungo-termine?
Il terremoto può essere considerato una calamità naturale che rappresenta un trauma (inquadrato nella “psicologia dell’emergenza” il settore della psicologia che si occupa degli interventi clinici e sociali in situazioni di calamità). Essere travolti da un evento di questo tipo, mette a dura prova la nostra capacità di adattamento e la nostra salute psicologica. Dopo una iniziale e fisiologica condizione di stress, il nostro organismo necessita di una riorganizzazione, sia in termini fisiologici che psicologici. Se ci focalizziamo sul concetto di prevenzione, occorrerebbe lavorare a livello di prevenzione primaria favorendo in ogni individuo la conoscenza delle proprie emozioni e la loro gestione per adattarci e saper reagire ad ogni situazione. Successivamente è necessaria una prevenzione secondaria in cui vengono programmati interventi di sostegno psicologico, successivi all’evento traumatico, per sostenere in fase acuta di stress.
In casi come il terremoto ci sono protocolli precisi che vanno seguiti per evitare rallentamenti e ostacoli: ASL e diverse Associazioni organizzano a breve équipe di professionisti sanitari, diversi psicologi dell’emergenza seguendo i protocolli della Protezione Civile. Questi sono una risorsa molto preziosa, dal momento che in tali situazioni la vita emotiva e psicologica è stata appena duramente messa alla prova.
Nella fase acuta – oggi come per le altre forti scosse – il supporto psicologico deve essere mirato a stabilizzare e attenuare le risposte allo stress, mobilitare le risorse delle persone coinvolte, normalizzare e facilitare il recupero della loro funzionalità. Occorre coordinarsi sempre con i servizi territoriali che sono intervenuti e potranno intervenire ancore nel medio e lungo termine. L’assistenza psicologica è stata integrata nei piani d’emergenza ma il ruolo dello psicologo deve essere rafforzato e portato avanti per essere un valido riferimento in interventi a lungo termine.
In condizioni di emergenza come quelle causate dal terremoto, le fasi di risposta che si susseguono sono diverse e caratterizzate da diversi step.
- Fase eroica (da qualche ora a qualche giorno): altissimi livelli di energia, impegno nelle attività di salvataggio, aiuto, accoglienza, ecc. (alto livello di adrenalina)
- Fase della luna di miele (da una settimana ad 1 anno): ottimismo dei superstiti e della comunità. Afflusso alto di risorse, attenzione mass media, vip, solidarietà, ecc.
- Fase di disillusione (da 2 mesi a 1-2 anni dopo l’impatto): senso di tradimento, abbandono, ingiustizia, incompetenze, intoppi burocratici. I sintomi da stress post traumatico si intensificano.
- Fase di ricostruzione: iniziano i cambiamenti osservabili dei programmi a lungo termine connessi alle calamità.
Che tipo di supporto e tecniche sono impiegate affinché si riducano le probabili criticità individuali?
L’intervento psicologico in emergenza deve seguire e tener conto delle fasi del processo di traumatizzazione. Immediatamente dopo il trauma, lo stato psicologico del soggetto è tra la dissociazione, la confusione e l’incredulità: un intervento basato sulle parole avrebbe poca efficacia.
Qualunque sia l’indirizzo teorico di riferimento, gli obiettivi della psicoterapia per i traumi si possono riassumere in: 1. stabilizzazione e messa in sicurezza (stabilità psicologica, emotiva e relazionale); 2. Ricostruzione del trauma in ambito protetto (all’interno della relazione terapeutica); 3. Rielaborazione dell’esperienza traumatica (poter “guardare l’evento accaduto senza esserne travolto”); 4. Integrazione del trauma così da essere orientato verso il presente e il futuro. Le tecniche in psicologia sono molte e varie.
Per mia esperienza e formazione, trovo utile, in questi casi, l’utilizzo dell’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, cioè Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) che si focalizza sul ricordo dell’esperienza traumatica e aiuta ad integrare elementi frammentati dell’esperienza. Lo stress traumatico e i ricordi traumatici sono dei fattori di rischio per la psicopatologia: il rischio di sviluppare Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) aumenta con il numero di esposizione a traumi. Come sostiene – una delle maggiori autorità mondiali nel campo della psicotraumatologia – l’olandese psichiatra e studioso Bessel van der Kolk: quello che crea disagio non è l’esperienza in sé, ma il suo ricordo.
Dottoressa Lancia, in generale, l’essere esposti a testimonianza in prima persona dello stesso evento traumatico e angoscioso cosa comporta?
Negli ultimi decenni c’è stato un incremento di consapevolezza dell’impatto dei disastri sulla popolazione civile. La spiegazione più plausibile, è data dall’avvento del servizio di cronaca attivo 24 ore e della diretta televisiva. In questi casi si parla di trauma vicario. Quindi, anche i racconti e le testimonianze ripetute possono essere traumi vicari. I soccorritori, per esempio, partecipano allo stesso scenario traumatico, con l’obiettivo di prestare aiuto, restando a contatto con le vittime che si trovano in forte stato di shock e sofferenza emotiva, sono esposti allo stesso senso di vulnerabilità e impotenza. Di conseguenza anche i soccorritori vivono reazioni emotive intense, tali da poter talvolta interferire con la capacità di funzionare sia durante l’evento sia in seguito, per tempi diversi e individuali. Nello specifico della mia attività personale, per esempio, è ciò che si è verificato secondo il racconto di un mio paziente accorso nelle prime ore dopo il sisma del 24 agosto scorso. I soccorritori, lui compreso, presenti nelle zone immediatamente dopo l’evento, dopo 5 giorni sono stati mandati a casa. Nell’immediato il mio stesso paziente, persona che già aveva prestato aiuto durante il terremoto dell’Aquila, nel 2009, aveva deciso “a caldo” di dimettersi dall’incarico “perché non ce la faceva più”. Successivamente, egli ha rivalutato la sua scelta con più freddezza emotiva ripensando alle possibili motivazioni innescate. La forte esperienza dei primi giorni l’aveva segnato e condotto a prendere decisioni che successivamente ha modificato.
In questi casi, chi sono i soggetti più a rischio fra le vittime della catastrofe ambientale? Ci sono delle variabili che incidono?
Citando il pensiero di Fletcher, in scritti del 2003, possiamo affermare che la ricerca ha evidenziato che l’esperienza di vivere una situazione di distruzione, di perdita di case e di familiari e l’essere esposti a scene terrificanti, costituisce un fattore di rischio grave per la salute mentale di adulti e soprattutto di bambini. I terremoti sono eventi sconvolgenti e la persona fa contatto con un senso di fragilità e impotenza. Alcuni possono manifestare sintomi acuti come pianto ininterrotto, pessimismo, attacchi di panico. Si possono considerare più a rischio le persone con meno risorse: bambini, anziani, persone con disturbi mentali, disabili. Ci sono molte variabili che incidono sui problemi che possono emergere in una persona in seguito all’esposizione ad un evento traumatico, così condensate: variabili della vittima, tipo di evento, risposta soggettiva, supporto emotivo e sociale. Il supporto psicologico in ogni caso è d’aiuto sia per contenere le reazioni a breve termine sia per ridurre gli effetti negativi a lungo termine.
Ma cosa succede esattamente al singolo quando si ha paura o perfino terrore come quando si vive un terremoto?
Premettendo che vi sono differenze individuali nella comparsa, nella durata e nell’intensità delle reazioni, si può affermare che in fase iniziale di un evento traumatico il corpo si attiva e si mobilizza e la mente si attiva per elaborare le informazioni. Si mettono in atto le classiche fasi della reazione di sopravvivenza: attacco, fuga, congelamento. Nelle prime 24-72 ore e, a volte anche oltre, si presentano: fase di shock con confusione, perdita di concentrazione, reazione da stress (tremori, freddo, pianto, nausea), negazione (incredulità, non si ricorda, non si capisce), emozioni forti (rabbia, tristezza, paura, eccitazione per essere sopravvissuto). Possibili reazioni più comuni, della durata di alcuni giorni e/o alcune settimane sono: pensieri intrusivi (immagini ricorrenti dell’evento, brevi episodi di perdita di coscienza ), evitamento (per esempio non riuscire a tornare nella zona in cui si è stati vittima del crollo, non riuscire a parlare con le persone che erano presenti), umore depresso, senso di colpa per essere sopravvissuto, difficoltà nel dormire e/o difficoltà nell’alimentazione. Le repliche alle varie perdite sono differenti in base all’individuo.
Se sono questi i segnali che inducono a stabilire la diagnosi di un piano di aiuto, potrebbero altresì servire per altro?
E’ importante conoscere le possibili reazioni, come indicate precedentemente, per capire che alcuni comportamenti sono del tutto normali. Sarebbe utile aiutare le persone a sapere come affrontare i problemi, “educarle a fare meglio”. In pochi punti:
- Aiutare le persone ad identificare le fonti di supporto nella loro vita (es. amici e famiglia) che possono aiutarli ad affrontare la situazione attuale;
- dare consigli pratici per soddisfare i bisogni (per es. spiegare alle persone come fare richiesta per ricevere cibo o assistenza);
- chiedere alle persone di riflettere su come hanno affrontato situazioni difficili in passato e sottolineare la loro capacità di affrontare anche la situazione attuale;
- chiedere alle persone cosa può aiutarle a stare meglio (per es. Cosa sente il bisogno di fare? Cosa le potrebbe essere utile?).
Qualche consiglio in più, in base alle sue conoscenze ed eventualmente alla sua esperienza, che si sente di dare a soccorritori e vittime del disastro naturale che si sta vivendo in questi mesi?
Il lavoro sul campo svolto dagli addetti sta andando avanti benissimo nonostante le difficoltà perenni e le repliche degli eventi tellurici che non danno tregua. I soccorsi proseguono fra l’attesa di soluzione abitative, imprevisti burocratici, meteorologici e naturali come quello odierno, nonostante lo sfinimento fisico e la sfiducia fisiologica. Secondo me, ricordarsi l’importanza dell’autoprotezione emotiva potrebbe essere un consiglio per garantire più efficienza nel soccorso. Proteggersi permette di proteggere tutta la popolazione. In parole povere e in dettaglio indico alcuni aspetti, suggeriti dall’Associazione EMDR, ai soccorritori:
Saper riconoscere le proprie reazioni emotive e le difficoltà che si possono avere durante e dopo l’esposizione, allo scopo di decomprimere quanto prima il proprio livello di stress
Non negare i propri sentimenti ma ricordarsi che è normale e tutti possono avere delle reazioni emotive dopo un terremoto cosi devastante
Saper monitorare le proprie reazioni fisiche ed emotive, riconoscendo i propri sistemi di attivazione
Rispettare i propri turni di riposo e recuperare energie fisiche e mentali
Ricordarsi che non si è soli, ma inseriti in un sistema e in un’organizzazione che può sostenere e aiutare anche gli stessi soccorritori
Osservare il proprio stato emozionale, senza giudicarsi
Parlare degli eventi critici avvenuti in servizio, aiutandosi a scaricare la tensione emotiva
Rispettare le reazioni emotive degli altri, anche quando sono completamente differenti e poco comprensibili per il proprio punto di vista
Tutelare il proprio equilibrio emotivo accedendo ai sistemi di supporto offerti per i soccorritori (parlare con un esperto di reazioni post-traumatiche)
Accedere, quando e se possibile, agli interventi di decompressione offerti alle squadre di soccorritori.
Che pensa di ciò che è stato fatto per le popolazioni terremotate nel periodo di Natale….
Mettendo da parte tutti gli errori e le mancanze dei giorni scorsi, penso che il Natale è Famiglia, è casa. Creare momenti di aggregazione e iniziative di solidarietà è servito a compensare affetto e fare legami.
Dottoressa Lancia, ringraziandola e concludendo, le rubo qualche altro minuto del suo tempo, in quanto proprio in base a ciò che ha detto sui bambini, mi sorge una curiosità estemporanea da sottoporle: qual è il suggerimento per un genitore che, lontano dal luogo della tragedia, epicentro del terremoto, è con il suo bambino, a diversi chilometri di distanza, e comunque, entrambi, avvertono le scosse del sisma?
La ringrazio per la domanda che mi permette di evidenziare quanto in momenti del genere sia fondamentale tranquillizzare i bambini non tanto sul fatto che vada tutto bene (sarebbe incongruente con il nostro non verbale che esprime sicuramente paura), bensì sul fatto che ci siamo noi adulti che pensiamo a loro. Ovviamente le differenze vanno poi considerate rispetto all’età dei bambini. Spesso come adulti abbiamo l’illusione e la speranza di vedere tornare l’innocenza negli occhi dei bambini dicendo “speriamo che dimentichino” o peggio “i bambini dimenticano”. Un bambino che subisce un trauma non dimentica, ma può elaborare e tornare a fidarsi. Solo se noi come adulti diamo ai bambini la possibilità di addolorarsi, sarà poi possibile per loro attraversare le varie fasi: le lacrime e la disperazione, la paura e la sofferenza e poi l’accettazione. Sarà possibile per loro ricorrere agli adulti e chiedere aiuto. Dimenticare non è la meta: il vero salto è integrare. Maria Anna Chimenti
Fonte Immagine Homepage ingvterremoti.wordpress.com