STORIA O LEGGENDA CHE SIA, IL RACCONTO DEL CAPORALE HAYES COMMUOVE ANCORA TUTTO IL MONDO
Il 22 gennaio 1944, le truppe alleate sbarcarono, nell’operazione Shingle, ad Anzio. Lo sbarco fu tremendo perché distrusse quasi completamente la città. Anzio, evacuata ma non del tutto, fu un paese completamente sventrato dai bombardamenti e dai combattimenti. Le pagine dei libri di storia pullulano di racconti. Il più suggestivo è la storia raccolta e ricostruita dalle parole del caporale Hayes, da Ennio Silvestri, storico di Anzio, personaggio illustre della cittadina, purtroppo scomparso, Ennio Silvestri, ha donato a tutto il mondo la storia di Angelita. Molti la hanno additata come falso storico, altri come realtà certa. Noi la proponiamo perché Angelita non ha alcuna presunzione di essere, Angelita è solo una piccola bambina vittima della guerra, come nella realtà, purtroppo, quotidianamente ce ne sono.
Una statua in bronzo raffigurante una bambina. Ha dei codini per trattenere i capelli, un vestitino sopra al ginocchio, è scalza. Attorno a sé ha cinque gabbiani, a cui lei alza le braccia, un sorriso e lo sguardo rivolto verso l’alto, come per giocare con loro. Ma sembra anche che la stiano portando via. Via dalla guerra, via dal dolore. E lei, con il piedino leggermente in avanti sembra accettare un invito o forse una protezione. E’ Angelita. Angelita d’Anzio. Forse leggenda, forse verità, Angelita è comunque il simbolo di tutti i bambini coinvolti dalle atrocità e dalla furia della guerra. La storia narra che una bambina fu trovata durante lo sbarco alleato, dagli americani, sola sulla spiaggia. Aveva tra i cinque e i sei anni, morì tragicamente nel conflitto.
Dal racconto del caporale Hayes:
“La notte dello sbarco la mia pattuglia superava velocemente la riva temendo la violenta reazione nemica quando, giunti ai limiti del bosco (si presume Tor Caldara, ndr ) restammo impietriti sentendo qualcuno lamentarsi. Avanzammo con cautela e scoprimmo trattarsi di una bambina dell’età apparente di sei anni, terrorizzata e con il volto bagnato di lacrime. Non sapendo cosa fare e non parlando nessuno di noi alcuna parola in italiano, prendemmo in braccio la bambina e ci inoltrammo nel bosco, trasportandola a turno, quasi come un simbolo di vita e di speranza per ogni soldato della pattuglia. L’alba di un giorno freddo ma luminoso (22 gennaio 1944) era appena spuntata incerta nel bosco quando noi riprendemmo l’avanzata con precauzione. La notte cadde ma Angelita era di ora in ora più serena e sorrideva timidamente agli sforzi miei e dei miei compagni per farci comprendere ed inventare smorfie e giochi che la divertissero. Lasciammo, obbligati, Angelita in una località, Carroceto, dove la Croce Rossa curava i feriti. Mentre ci dirigevamo verso il Flyover vedemmo una salva di cannonate investire il punto in cui c’erano i feriti. Ero l’ultimo della fila e mi precipitai a vedere: i feriti erano rimasti tutti uccisi, anche Angelita. Strinsi la bambina per l’ultima volta quale estremo saluto mio e dei miei compagni e la adagiai lungo il ciglio della strada tra i morti inglesi, americani e tedeschi”.
La figura di questa piccola fanciulla è carica di valenza sociale ed ha una dote eccezionale: conquistare tutti. Basti pensare all’enorme successo che ebbe una canzone a lei dedicata scritta da Marcel Ferial e presentata al Musichiere. Dall’Italia alla Scozia, dall’Inghilterra all’America, le parole riecheggiavo ovunque, così come le note.
Vera Iafrate