ROMA – “Il richiamo dell’Unione Europea, sulla mancanza di riforme strutturali, è legittimo. Soprattutto, diventa strategico se da esse dipendono le autorizzazioni a sforare il parametro del deficit su PIL al 3% per gli investimenti – dichiara Diego Righini (nella foto), economista della Fondazione ‘Formiche Giovani’ – Analizzando il disegno di legge di stabilità, presentato al Senato della Repubblica, notiamo subito, che sulla razionalizzazione della spesa del personale della PA si poteva fare di più. Per esempio: inserendo la regola aurea di equità, dove gli stipendi di vertice non possono superare di 10 volte lo stipendio più basso nella stessa amministrazione, per esempio estendendolo anche a tutti gli enti e società controllate, partecipate o contribuite dalla Stato. Questa correzione porterebbe ad un risparmio strutturale di 10 miliardi in cinque anni, perché il tetto agli stipendi si orienterebbe verso i 250.000 lordi annui con un livellamento progressivo di tutti i contratti di lavoro pubblico. La seconda vera riforma strutturale, legiferata dal Governo Monti, è nel proseguire nella privatizzazione e nella chiusura di tutte le società pubbliche partecipate dagli enti locali e regioni. Questo porterebbe ad un risparmio di 5 miliardi, per non dovere più intervenire nel coprire i bilanci in rosso delle aziende, insieme ad un miglioramento del servizio stesso, che rimarrebbe sotto la stretta vigilanza pubblica. La scelta improvvisa di programmare la vendita delle partecipazioni nelle grande aziende pubbliche controllate o partecipate dal Tesoro per 12 miliardi di euro, come ENI, Sace, ecc., è utile per la riduzione del debito, ma nulla hanno a che vedere con il taglio delle spese strutturali. Invece, queste vendite rischiano di essere un entrata in meno di bilancio, per le casse dello Stato, in quanto queste aziende, quotate per lo più in borsa, ogni anno, portano utili ai propri azionisti. Non vorrei – conclude Righini – che vendessimo gli asset positivi per nascondere altro”.