Materia grezza lavorata a perfezione: una storia che forse non lascia sbigottiti viene però esaltata al massimo dal modo in cui viene trattata. La sinossi di per sé potrebbe ricordare tante opere; ma il pezzo rimane unico nel suo genere per come arriva. Il testo è perfetto: un linguaggio pulito veicola profondi contenuti. Come previsto la retorica non c’entra nulla. Si susseguono frasi asciutte, lapidarie, che rimangono ben impresse nella mente dello spettatore.
Ottime anche le scelte della Galloni. La regia segue il testo: l’essenziale basta. Un racconto, un ricordo, un sogno, non importa di cosa si tratti esattamente. C’è un passato incombente tutto da elaborare che forse elaborato non sarà mai. Tra Luca e la sua nuova vita, tra Luca e la sua nuova donna, c’è Matteo e forse ci sarà sempre. La scena finale non lascia spazio ad equivoci, del resto. Si potrebbe pensare che con certe situazioni è meglio imparare a convivere. Quel che non si riesce a superare va integrato.
Giusta la scenografia. Essenziale anche quella. La storia è nella mente e non ha bisogno di oggettivarsi in spazi particolari.
Luca e Matteo – rispettivamente Gianmarco Bellumori e Gabriele Granito – viaggiano assolutamente in equilibrio. Due ruoli opposti che si bilanciano. Il silenzio ostinato di Luca fa da controcanto al flusso di parole ininterrotto di Matteo. Questi, l’innocenza fatta persona: Matteo è l’ingenuità che si racconta, la purezza, «la differenza tra il non voler peccare e il non saper peccare». Un personaggio che rimane quasi al di qua della vita, che prova sentimenti ma non sa dargli nomi. Invece Luca della vita prende tutto: la massima bellezza e l’orrore. Fino a negare la vita a chi minaccia di privarlo di quella stessa bellezza.
Elisiana Fratocchi