Traduzione, adattamento e regia di Giancarlo Sepe. Dieci e lode a lui dunque! Dieci e lode anche agli attori, agli scenografi, al cast tutto. Ad oggi, si direbbe, lo spettacolo migliore della stagione dell’Eliseo.
Nell’originale la vicenda si svolge a Messina, Sepe la trasferisce in un campo nomadi, precisamente. Squisitamente kitsch, non solo nei costumi: anche nel linguaggio, per esempio. Tutto è eccessivo ma non pesa, anzi: estremamente dinamico e spumeggiante, non lascia tempo alla distrazione dello spettatore. La musica etnica e popolare accompagna le scene, a volte serve invece agli attori per narrare le situazioni cantando. Citazione sicuramente cara a tutto il pubblico quella di Rosa Balistrieri. Sono zingari, cantastorie che «con le loro gerarchie e le loro famiglie tramandano vicende di amore e di morte», ci suggerisce lo stesso Sepe.
Le nenie gitane si fanno complici di un’atmosfera notturna e conciliano la nascita di amicizie e inimicizie, di odi e amori. Certe situazioni richiamano contesti antichi, presenti nella memoria collettiva dello spettatore italiano che non può non sentirsi parte della scena. La maestria degli attori sublima il tutto: la professionalità di Francesca Inaudi non è una novità ma riesce a sorprendere ancora. Praticamente perfetta nel ruolo di Beatrice, è affiancata da un eccezionale Giovanni Scifoni nel ruolo di Benedetto.
Elisiana Fratocchi