A Roma, giovedì 23 marzo, intorno alle ore 12.00, nel Chiostro del Bramante, in via della Pace, si è svolta la conferenza stampa dedicata alla mostra Jean-Michel Basquiat – New York City. Promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, la mostra è prodotta e organizzata da DART Chiostro del Bramante e Gruppo Arthemisia in collaborazione con la Mugrabi Collection ed è curata da Gianni Mercurio in collaborazione con Mirella Panepinto.
A condurre i lavori sono stati i relatori Laura De Marco, Direzione Generale DART Chiostro del Bramante, e il curatore Gianni Mercurio. L’esposizione di opere, direttamente dalla Mugrabi Collection, ha aperto i battenti quattro giorni fa e resterà, negli spazi del Chiostro del Bramante, a disposizione dei visitatori, fino al 2 luglio 2017.
Jean-Michel Basquiat ritorna al Chiostro del Bramante!, ha dichiarato soddisfatta in apertura di conferenza Laura De Marco, la quale ha proseguito il suo intervento raccontando, a grosse linee, degli anni trascorsi dalla prima mostra dell’artista ospitato, e della fiducia riposta nel successo di quella attuale – progetto completamente diverso dal precedente – proposta dopo l’esito positivo ottenuto con i capolavori degli autori contemporanei dell’esposizione LOVE. De Marco, prima di passare ai ringraziamenti di rito, ha precisato che il particolare allestimento si deve a Mirella Panepinto. A completare e concludere la presentazione della mostra è stato il curatore della stessa, il quale ha evidenziato che una delle grandi tele in mostra 17 anni fa, Untitled, 1982, un autoritratto di Basquiat, è stata battuta all’asta da Christie’s per la cifra record di 57.3 milioni di dollari proprio il maggio scorso. Subito dopo, Mercurio ha delineato, soffermandosi sul carattere della raccolta, il profilo e il percorso artistico, aggiungendo in parallelo, dettagli di contesto storico-sociali e di vita, di Jean-Michel Basquiat. Naturalmente il curatore ha citato il riferimento all’Art brut di Jean Dubuffet presente nei suoi primi dipinti fino a giungere alle romantiche rivisitazioni dell’arte primitiva ed esplodere nell’individualità della scrittura – le parole come pennellate; non ha tralasciato di dire, con tutto ciò che ha comportato, in positivo e negativo, che per la carriera di Jean-Michel, il fattore del mercato dell’arte è stato molto importante (1985, New York Times con Basquiat sotto il titolo “New Art, New Money: The Marketing of an American Artist”), oltre al fatto che per l’artista, ragazzo prodigio, il suo studio, la sua scuola è stata la strada e che è stato notato per la poesia di strada con le cadenze dell’hip hop, genere musicale nascente. Non manca la breve nota per Keith Haring, l’altro esponente del movimento; il ruolo determinante di Rene Ricard, Emilio Mazzoli e Annina Nosei; la grande amicizia con Andy Warhol (genera il periodo dell’integrazione tra Pop Art e Graffitismo). Si supera con sintesi e debito rispetto l’attimo della dettagliata e attenta biografia del poète maudit, supportata da dense postille a chiarimento, e prima di lasciar vedere le opere di Basquiat, Mercurio si congeda tra saluti e ringraziamenti unendo altre informazioni per quanto riguarda i pezzi esposti: ci sono i quadri con elementi di storia e di scienze, materie per cui l’artista nutre molto interesse; c’è una sezione di disegni; vi è una collezione di piatti molto particolare e ironica – Basquiat, sulle ceramiche, con pochi tratti rileva la caratteristica del personaggio ritratto e lo rende riconoscibile.
E’ il momento di approcciarsi live alla mostra giunta qui a Roma dopo le date di Milano. L’apprensione si scioglie, l’emotività cresce. A breve, alle pareti, si schiuderanno i circa 100 lavori esposti, tra olii, acrilici, disegni, alcune importanti collaborazioni con Andy Warhol, serigrafie e ceramiche, opere realizzate tra il 1981 e il 1987 tra le più rappresentative della produzione di Jean-Michel, tutte provenienti dalla Mugrabi Collection, una delle raccolte di arte contemporanea più vaste al mondo. La chiamata non si può declinare, l’attenzione è al massimo.
L’occhio profano potrebbe considerare il trovarsi di fronte ad un’arte in fieri che insiste, fatta di motivi costanti, linguaggi visivi disparati. Non appare subito una corrente ufficiale che permea le opere dell’artista, per via di quei poster e murali spesso privi di telaio, stampe mancanti di cornice, immagini modulari, ritmiche e astratte, parole e frasi a pezzi – presenza costante e strutturale -, impiego di materiali di recupero assemblati, uso di gessetti, matite, verniciatura a spruzzo e olio, pagine e tela, miscellanea di colori, tecniche primitive e musica che di converso, messe insieme, sono le esclusive peculiarità attestanti il punto di forza della tempra artistica di Basquiat. I capolavori dell’artista americano descrivono appieno ciò che per quegli anni è un principio di breccia per la sua gente nell’arte stessa, nel paese e non solo nella cultura newyorkese. Il colore, il gesto, il segno sono elementi compositivi certamente non di opere mediocri alla portata di talento comune: street art o arte di strada oppure graffitismo statunitense. Ecco nascere i famosi graffiti, quasi degli ipertesti su tela dell’analphabet artist – come si definiva lo stesso Jean-Michel – che solleticano il trasporto dell’interloquire e somministrano inquietudine e forza intesi come vitalità e agitazione, una palese sinergia che, ispirata da musica, scienze, storia, arte greca e romana, infusa dall’assidua presenza di radici afroamericane e condanna al razzismo, ai soprusi e al potere, denuncia di angherie subite nella storia e nel presente dal popolo di colore, accende quella rivoluzione corporea e tangibile, esito di quel sé eterogeneo e alla mercé di antinomie singolare del Picasso nero. Questa capacità innata di mescolare cultura alta con cultura della strada, unita alla scelta meditata di disegnare sui muri in prossimità delle gallerie più rinomate e alla promessa fatta al padre Un giorno diventerò molto, molto famoso, conducono Basquiat ad oltrepassare le porte dei piani alti dell’arte appena ventenne, assurgendo a conquistare il titolo di uno dei maggiori rappresentanti dell’arte moderna del secolo appena trascorso. La corona, firma identificativa, sarà per SAMO l’investitura perenne a re e testimone del suo tempo.
Torniamo al percorso della mostra. Seguendo l’itinerario artistico ed esistenziale di alcune delle opere più importanti del divo rasta di SoHo – esempio univoco di contaminazione e confluenza vincente di stili e codici artistici, quali pittura, scultura, collage, che si identifica e s’impone quale forma d’arte nuova, scia pioneristica per il tempo a venire – si patiscono i quesiti rituali che intrappolano il visitatore a scrutare con docile ossequio tematiche ribelli popolari e aspetti politici, sociali e di costume del mondo urbano, supereroi contemporanei di colore, innumerevoli tecniche espressive differenti, apparentemente primitive, che vanno dal fumetto alla pubblicità: chi è Jean-Michel Basquiat, genio della sintesi di neoespressionismo astratto e figurativo, visionario oppure caso fortuito? Maestro di verità suggerita dalle Muse e tramandata come cultura e precetto o paranoico? Artefice dello stravolgimento della scena artistica americana o utopista? Enfant prodige o enfant terrible? Vate moderno o mascotte di Andy Warhol? Che ruolo ha l’arte nella sua vita: è vincolo o sospensione oppure mercato? La risposta è da riconoscere nella sperimentazione soggettiva. Plausibilmente per i più inciderà l’affanno provocatorio e spregiudicato della personalità del pittore unica nel suo genere. Per altri, segnerà profondamente il punto a favore, la parabola professionale e privata della sua vita: l’arco dell’inaudita ascesa al successo e fulminea caduta, fino alla morte precoce per overdose nel 1988, a soli 27 anni. Per molti, sarà garanzia di replica, l’imperante tormento insito nella figura dell’artista maledetto e anticonformista corroborante disagio ma contribuente stimoli, suggestioni, curiosità e gusto estetico. A dispetto dei versi drammatici, non è una sofferenza seguire siffatto profumo di contestazione sociale a ritmo di note jazz, intonazioni hip hop, proposizioni, accenti tribali e richiami ai cartoons. A dispetto della circoscrizione temporale si varca il traguardo e sono superati i limiti di un’epoca: è #bebasquiat, l’antieroe.
Di sicuro fanno capolino, fin dall’inizio del cammino professionale e privato di Jean-Michel, tratti tipici della figura rimbaudiana, dal cliché quotidiano provocatorio, pericoloso, asociale o autodistruttivo, in simbiosi con quelli di James Dean nell’evidente modo d’apparire sul palco del mondo, magicamente scintillare e poi rapidamente sparire: la celebrità è raggiunta e bruciata in pochi anni, fagocitata dallo stesso ruolo di star e plasmata da personalità emblematica e imbarazzante.
La sensazione che si avverte, impulso del momento, metaforicamente è che Basquiat sia come un treno, un treno che non è in partenza ma già è partito, poco conta che sia avvenuto con o senza di noi. L’apprendimento acquisito fin dai primi anni di vita dal pittore statunitense, unito al diletto per il disegno, al colore della sua pelle, prende la parola mixando idee e materiali a disposizione. E’ lo scatto in più che lo solleva dalla strada e lo porta nel mercato dell’arte in posizione dominante, di primo piano e di consenso di critica e pubblico: una celebrazione d’avanguardia, una modernità che genera dai segni primitivi e proietta concretamente al futuro espressionismo con sistemi significanti estrapolanti emozioni, spogli di competenze accademiche o di studio, accomunati da capacità sovrumana di guardare oltre, legati ad un congenito progetto di formazione sostenuto da sempre dalla madre. Jean-Michel Basquiat possiede attitudine professionale autodidatta che, fra sintonie sonore e programmi televisivi, gli consente di disporre dell’opera e di accomodarci composito e contaminato contesto, dosando il precario equilibrio giovandosi di tecniche, versi e ritmi della parola.
L’uscita è vicina, ci approssimiamo al termine dell’allestimento museale. Non è scongiurata la riflessione su ciò che si è visto. Qual è il punto di partenza? Qual è il punto di arrivo? Il cambiamento è vertice e punto in comune di questo corpus rivoluzionario di opere basquiatane, smisurato concetto d’espressione di alacrità d’arte, a volte drammatico altre violento, cresciuto in soli dieci anni. Chissà. Manifesto è nessun effetto standard per il compendio di creatività, il fervore viscerale, materico, tribale, l’orgoglio d’appartenenza al popolo nero. Ed ecco, presumibilmente, il punto che fa la differenza per Jean-Michel Basquiat. Ed ecco, forse, trovata la modalità di non rimanere solo lo spunto di un dibattito ma il focus di un’epoca e di uno stato dell’arte che acconsente a nuove direzioni ma al contempo calpesta e schiaccia gli stessi innovatori. Chissà.
Prima di lasciare gli spazi espositivi e le sue opere, non è assolutamente evitata la possibilità di ringraziare per la disponibilità, fare una foto e porre una domanda a Gianni Mercurio, che aveva appena concluso un’intervista televisiva.
Lei, è stato esaustivo e chiaro nell’intervento durante la conferenza stampa di poco fa, ma vorrei, cortesemente, chiederle una cosa ancora: perché si dovrebbe visitare la mostra Jean-Michel Basquiat – New York City?
Perché Jean-Michel Basquiat è un mito! Ormai, è un autore conosciuto da tutti. Questa mostra è un omaggio a Jean-Michel Basquiat, una collezione privata che ricostruisce con attenzione la sua carriera artistica grazie all’accuratezza del collezionista: partiamo dai primissimi lavori degli anni ottanta fino agli ultimi. Quindi, possiamo dire che è una retrospettiva. E poi Jean-Michel è un artista molto amato, soprattutto dalle nuove generazioni, le quali faticano a credere che sia scomparso già da quasi 30 anni. Nei giovani Basquiat ha trovato consenso perché questi ritrovano in lui lo stesso spirito di protesta; condividono l’inserimento di quegli eroi e quelle leggende, personaggi della musica, dello sport sempre rigorosamente neri oltre a riconoscere la piacevole attrazione per i colori e gli accostamenti audaci e a volte seducenti presenti nelle sue tele.
L’arte di Jean-Michel influenza, anzi stimola molto più che influenzare. Mi auguro che l’arte, la storia espressiva di questo talento scomparso prematuramente sia gradita anche ai rappresentanti delle nuove leve che verranno a vederne la mostra, mi auguro ancora che possano essere loro stessi instradati e incoraggiati a praticare in qualche modo l’arte, esserne artefici e realizzarla.
E’ il momento della foto. Si decide di far scegliere l’opera al curatore stesso. Gianni Mercurio, guardandosi attorno nella sala, si dirige verso una grande tela – l’acrilico e oilstick nell’immagine – posizionandosi davanti, e poi sorridendo afferma Questa la porterei volentieri a casa, anche se le misure richiedono uno spazio non indifferente!
Maria Anna Chimenti