Il Pronto Soccorso della Clinica dove avrebbe dovuto partorire la rifiuta. Amana nasce in auto. Asia ha lacerazioni interne gravi. E’ ricoverata presso l’Ospedale San Giovanni Bosco di Arzano, dove i medici e il personale sanitario, le hanno pestato da subito le prime cure, e nonostante il dolore e la fatica, sorride: e’ fiera ed orgogliosa della sua piccola: Amana aveva fretta di nascere e nonostante tutti i problemi che per lei si presentavano, è nata.
Ha sfidato tutti, in primis l’indifferenza e l’ostilità di chi l’ha cacciata mentre lottava per vivere, di chi avrebbe dovuto spalancare le porte della struttura sanitaria ed accogliere mamma e figlia nel momento più delicato e rischioso.
Sotto il cappellino rosa, la graziosa Amana, dorme serena tra le braccia di mamma Asia, distrutta da una notte di dolore, stress e angoscia.
Asia, in cura da una ginecologa per la gravidanza, presso una clinica privata della periferia nord di Napoli, Arzano, si era recata d’urgenza, con il parto aperto e la testolina della bimba già fuori, presso il Pronto Soccorso Ostetrico della stessa clinica, dove avrebbe dovuto partorire con taglio cesareo programmato. I medici del Pronto Soccorso, stando al racconto della coppia, non hanno però accolto la partoriente spedendola all’Ospedale San Giovanni Bosco, a ben tre chilometri di distanza. Nel tragitto Amana è nata ed è finita nella gamba del morbido e largo pantalone della mamma, salvata proprio dal doppio cordone ombelicale che tanto aveva spaventato la ginecologa. La bambina è sana e forte.
I due coniugi sono sconvolti dalla notte trascorsa, soprattutto dalla reazione dei medici della clinica. Racconta il padre Mohammad:“ il mio vicino ci ha subito aiutati, è uscito in pigiama. Quando sono entrato nel pronto soccorso con il mio vicino e abbiamo chiesto aiuto mentre Asia partoriva in auto loro ci hanno detto: “No, non siamo attrezzati per le emergenze. Rivolgetevi all’ospedale”. Non hanno neanche chiamato l’ambulanza, così siamo corsi via, era una corsa contro il tempo. Ero convinto che alla clinica ci avrebbero aiutato, anche perché la ginecologa che ha seguito mia moglie lavora in quella clinica ed è in quella clinica che mia moglie avrebbe dovuto fare il parto cesareo programmato tre giorni dopo. Invece non è stato possibile avere nessun sostegno. Ero certo che quei minuti perduti per l’indifferenza sarebbero costati la vita a mia moglie e a mia figlia.
Chissà… fossimo stati italiani…”.
Avrà ragione o è un caso di mala sanità che avrebbe coinvolto anche un’italiana?
Vera Iafrate