Dopo il travolgente successo letterario e cinematografico del film diretto da Gabriele Salvatores e interpretato da John Malkovich, arriva al Piccolo Eliseo di Roma “Educazione siberiana” di Nicolai Lilin e Giuseppe Miale di Mauro. Lo spettacolo, dopo la tappa di Roma, sarà rappresentato in tournée in tutta Italia. Nata da un’idea di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo, è interpretato da Luigi Diberti e da Elsa Bossi.
Primo di una trilogia, il libro è un moderno romanzo di formazione e narra la cruda storia dell’autore, Nicolai Lilin, nato in Transnistria, una regione dell’ex Unione Sovietica, dove la criminalità era l’unica certezza per un bambino come lui cresciuto tra gli Urka Siberiani, ultimi discendenti di una stirpe guerriera, tra il culto per le armi e uomini che si definiscono “criminali onesti”, animati da un’etica forte e antica, capaci di atroci brutalità ma con codice etico che paradossalmente non è corrotto, nonostante sia l’espressione di una comunità criminale. Un’educazione, quella di Lilin, che passa attraverso i “vecchi”, i criminali anziani ai quali la comunità riconosce il ruolo di “nonni” adottivi; sono loro a trasmettere all’autore i valori come l’amicizia, la lealtà e la condivisione dei beni, insieme alla cultura dei tatuaggi, i quali esprimo il destino di ognuno e ricoprono il corpo di Lilin.
Dalle parole di Nicolai Lilin e Giuseppe Miale di Mauro «L’adattamento teatrale di Educazione siberiana si muove intorno alla storia di due fratelli molto diversi tra loro: il primo è Boris, il giusto. Legato agli insegnamenti della tradizione siberiana, rispetta gli anziani e cerca di somigliare in tutto a loro. Il secondo è Yuri, il ribelle. Ha lo sguardo proiettato nel futuro, pronto ad infrangere ogni regola e a tradire la sua stessa famiglia per amore del Dio denaro, così rapito nel suo sogno americano. In mezzo il vecchio Nonno Kuzja, che cerca di far resistere la tradizione dei criminali onesti, nonostante il devastante impatto della società con il moderno delirio del consumismo occidentale. La storia di Boris e Yuri rappresenta metaforicamente il modello del tipico conflitto che si sviluppa nel periodo post sovietico sia dentro una singola persona che nella società intera. All’epoca della fine dell’URSS gli effetti collaterali di quell’evento, i fattori politico-sociali, hanno generato il caos nel popolo stremato dalla dittatura e affamato di libertà. Ed è proprio la percezione distorta della libertà che ha spinto le persone verso atti estremi, fino ad arrivare al drammatico degrado delle anime».
Chiara Ferrante