“La mia Roma, la Roma della Banda della Magliana, non era poi così diversa da quella di Mafia Capitale e di Massimo Carminati”. Maurizio Abbatino ha dominato la città con una spietata determinazione, quella che ha ispirato il personaggio del Freddo di Romanzo Criminale : prima un capo deciso a tutto e poi, dopo l’uccisione del fratello Roberto, un pentito altrettanto risoluto. Oggi invece ha perso tutto. “Non ero un boss ma un re. E adesso faccio fatica anche ad arrivare alla fine del mese: da quando mi hanno sbattuto fuori dal programma di protezione mi hanno tolto la casa e l’identità di copertura. Con le cartelle cliniche che riportano quel nome non potrò più continuare a curarmi mentre se mi presento in ospedale chiunque mi riconosce: “Ma che sei il Freddo?”. Mi chiedo se non è quello che tutti vogliono: la mia morte per cause naturali darà meno fastidio”.
Il Servizio centrale del Viminale nell’autunno 2015 ha ritenuto che lei non fosse più in pericolo. La revoca del programma di protezione è arrivata quasi in contemporanea con l’arresto di Carminati…
“L’avvocato di Carminati ha messo in discussione le mie dichiarazioni e quelle di altri collaboratori parlando di “pentiti coccolati dalla procura”. In realtà Carminati non mi ha mai querelato perché sa bene che ho detto la verità. Il Cecato ha svuotato cassette di sicurezza di magistrati e avvocati: io ho fatto la scelta di collaborare, lui quella di ricattare. Chi di noi è il più infame?”.
Nel 1993 con le sue dichiarazioni mandò in carcere tanti affiliati alla Banda e anche lo stesso Carminati. Molti di loro sono tornati in libertà. Teme possano vendicarsi?
“Non è solo per quello che ho detto che sono un bersaglio. Ma per tutte le cose che so e che non ho raccontato perché impossibili da dimostrare”.
Cosa resta della banda della Magliana?
“Sopravvive attraverso persone che della Banda non hanno fatto parte ma che con noi sono entrati in contatto, e che solo per questo si sono fatti un nome. Per molti la Banda della Magliana è stata un’ottima garanzia”.
Si iniettò davvero il virus di una grave malattia per uscire dalla cella?
“In carcere stavo andando fuori di testa. Mi dissero di un detenuto che stava male, con i linfonodi ingrossati. Non sapevo di cosa si trattasse ma mi iniettai una siringa del suo sangue”.
Chi l’aiutò ad evadere?
“Credevo nei miei ex compagni e l’obiettivo era evadere per aiutarli ad affrontare il processo. Poi le cose cambiarono. Furono loro i primi ad abbandonarmi. Ad ammazzarsi fra loro. Annodai le lenzuola e mi calai dalla finestra di Villa Gina, dov’ero detenuto dopo l’infezione. Mio fratello mi procurò i documenti falsi e mi accompagnò all’estero”.
Roberto, suo fratello, fu torturato e ucciso con 35 coltellate. Volevano arrivare a lei?
“C’è altro dietro la sua morte”.
Ma non furono i Testaccini e Angelo Angelotti?
“C’è un’altra possibilità che gli investigatori non hanno mai preso in considerazione, comunque preferisco non parlarne”.
Nei suoi lunghi interrogatori da collaboratore ha spesso tirato in ballo Massimo Carminati: oggi si confronterebbe con lui nel processo di Mafia Capitale?
“Io non ci voglio andare in quel processo. Carminati l’ha sempre fatta franca e anche questa volta finirà che lo grazieranno e sconterà solo qualche anno. Ha negato i suoi rapporti con noi della Magliana, ci ha chiamato “quelli che spacciavano droga”. Per il tentato omicidio Parenti-Marchesi (uno degli agguati messi a segno per vendicare Giuseppucci, ndr ) c’era anche lui. L’ho detto anche in tribunale: era in macchina con me. Eppure è stato assolto, con un alibi tirato fuori a distanza di anni grazie alle amicizie che avevamo all’ospedale militare del Celio. Da quando è stato imputato nel processo per l’omicidio Pecorelli, Carminati è sempre stato protetto”.
Cosa sa del sequestro di Emanuela Orlandi?
“L’omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sulla fine di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. I tre casi sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti”.
Lei ha accusato Massimo Carminati anche del depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna
“Era legatissimo a Danilo Abbruciati e aveva libero accesso al ministero della Sanità, dove c’era il deposito di armi. Da quegli scantinati Carminati prese un mitra Mab, con numero di matricola abraso e calcio rifatto artigianalmente. Lo stesso mitra che fu ritrovato nel gennaio del 1981, pochi mesi dopo la strage di Bologna, in una valigetta sul treno Taranto-Milano. Il contenuto di quella valigetta serviva per depistare le indagini sulla strage, per portarle su una pista straniera”.
Durante il processo sulla strage Sergio Calore, ex terrorista di destra poi collaboratore di giustizia, introdusse un elemento di dubbio che portò all’assoluzione di Carminati. Sergio Calore è stato ucciso a picconate nel 2010: un omicidio rimasto irrisolto…
“Chi sa e parla corre il rischio di essere “scaricato” e lasciato alla mercé di chi ha fatto arrestare. Ma anche chi ha preferito il silenzio o la menzogna non ha fatto una bella fine”.