«Mentre la Fondazione Hume, in queste settimane, traccia un identikit a confronto dei “tre mondi” : prima, seconda e terza società mettendo in evidenza che in Italia nella prima categoria convivono i garantiti e protetti dal posto fisso, nella seconda i lavoratori che rischiano, continuamente esposti alla incertezza del mercato, nella terza– nata in questi anni di profonda crisi- disoccupati, precari e non lavoratori (meglio dire coloro che vivono in condizioni di radicale esclusione dal circuito lavorativo regolare), a Frosinone e nella provincia si registra come ci confermano i dati Istat l’ aumento della povertà relativa ed assoluta e dei Neet ( giovani senza formazione, senza occupazione, che hanno smesso di cercare lavoro).
Questi fenomeni parrebbero non interessare la classe politica e gli amministratori -che avrebbero dovuto tenere a cuore e gestire le sorti della cittadinanza e la sua qualità di vita- troppo impegnati da sempre a fare solo campagne elettorali. Ciò sta generando smarrimento nella nostra terra che si attesta in vetta ad una vera emergenza sociale. I mediocri, loro, gli attuali governanti ed aspiranti tali evitano di farsi tarare in base alle caratteristiche morali e tramite verifiche popolari. Inutile tentare paragoni col passato: la realtà che stiamo vivendo è geneticamente mutata .
In questa dimensione che appare sempre più virtuale martiri, eroi, valorosi rimangono categorie di un nostalgico passato mentre il diritto di cittadinanza e la democrazia sostituiti dal grigiore, dall’insipida volgarità di rituali omologati, dall’ovvietà, dall’incapacità a dare una direzione alla res pubblica. Questi politici, adatti a tutti i cambi di stagione, sono pronti a fare delle loro degenerazioni i cammini del futuro e, ragionando solo di quantità, trasformano in spicciole cifre l’uomo consentendosi il piacere osceno di criminalizzare le identità ideologiche.
Pensiamo a quanto sta avvenendo nel sottobosco degli incarichi politici locali, ai commissariamenti di enti,all’antimafia, alle gestioni amministrative invischiate con formule che ognuno può interpretare come più gli conviene e consegnate nelle mani di chi avrebbe, invece, dovuto rappresentare gli elettori come precondizione di scelte politiche non denaturate ed infruttuose.
Chiamiamoli incapaci, ciarlatani, surrogati, assaltatori, tessitori della depressione locale sulla pelle di persone che soffrono privazioni e miseria, autarchici. Chiamiamoli fabbricatori di morte. Pensiamo alle prossime amministrative locali. L’autosufficienza diventa parola d’ordine per bloccare adeguamento dell’offerta, del mercato locale, della concorrenza. Stiamo assistendo a sdoppiamenti di personalità di candidati di partito che contemporaneamente si dicono civici, a formazioni di pseudo laboratori, di complottini, di formazione di liste, listarelle, listoni sostenuto per opportunità da accordi trasversali di ambigui personaggi. Al fisiologico confronto delle idee si è sostituita l’asprezza dell’offerta e dello scambio, le radici diventano una zavorra.
Casting improvvisati si sostituiscono ai programmi di governo di amministrazione ingessate e le gerarchie imposte e veicolate dai partiti diventano luoghi comuni del malessere di un entroterra massacrato da trent’anni di astuzie, tattiche e cattiva gestione. Una politica che, diventata calesse, scarica i piani bassi e la base ritardando la ricostruzione del capoluogo e mettendosi al riparo in un ruolo di comando, indegno ed indecoroso per chi lo subisce».
Giuseppina Bonaviri