Giuro che la prima volta che ti ho vista, non lo sapevo.
Qualcosa immaginavo ma non ne ero sicuro, per niente.
La pelle bianca e morbida, le labbra rosse, il tuo saper parlare di cose molto importanti
tipo le poesie di Carver o le canzoni del primo Bob Dylan e anche tutte le fasi fondamentali della storia di questo cazzo di mondo.
Continuavi a baciarmi ovunque, e insistentemente senza sosta su qualsiasi parte del mio corpo…
mettevi a dura prova i miei muscoli che vibravano dal troppo piacere, la pelle di paraffina e di brividi.
Giuro che non lo sapevo.
Di sottofondo poi i gatti ubriachi sui tetti che suonavano le canzoni popolari anni ’20
ed il tuo profumo che piano si divulgava lungo tutto il perimetro della stanza che emanava un odore di donna mai sentito prima.
Futuro impercettibile di questi momenti talmente unici nei quali capisci che la tristezza è solo la paura di avere tristezza,
come la vecchiaia che è solo la paura di diventar vecchi, come la voglia di “avere” tralasciando l’importante bisogno di essere.
Tutte cose che a quanto pare già sai, tu che da quella sera nella quale abbiamo bevuto troppo non te ne sei mai andata da casa mia.
due ore a notte a coprire la non paura di morire, per restare svegli per non sprecare tempo per sentirsi vivi,
per strapparsi via i vestiti e i neuroni rimasti a barcollare nelle pareti del cranio.
Ti osservo mentre dormi in una notte che per noi non è mai una notte qualunque,
soprattutto per te che mentre dormi sorridi con una mano che poggia sul tuo mento tenendo in bella vista
il tuo viso insolente.
Se fossi un vero musicista, scriverei una canzone e la intitolerei banalmente “NOTTURNO”, ma il mio basso
è troppo lontano ed io sono troppo nudo per alzarmi e raggiungerlo…
Se fossi un vero poeta scriverei una poesia bellissima e poi cercherei di farla pubblicare su una
di quelle riviste indipendenti che poi indipendenti da cosa ancora non si sa…
Il punto è che sono io, per quello ti guardo senza fare una mossa, altrimenti sarei una cosa già vista e rivista,
un film in bianco e nero, o un libro underground…
invece sono io, io e basta per quello ti guardo e ti contemplo come se fossi l’unico Dio nel quale credo.
Sogno. Mi trovo in un vecchio castello.
Le mura sono lisce… di roccia.
sento una musica in alcune stanze, una musica lontana.
Forse è Debussy… ma non ne sono sicuro.
I vetri delle finestre si sono ghiacciati, come spesso succede con le intenzioni della giovinezza..
cammino nel castello: ai muri quadri antichissimi, forse ancora più antichi del concetto che io ho di antico, sono belli.
Mi fermo davanti ad uno di questi che raffigura una donna, sotto c’è una dedica in greco che non riesco a decifrare
ma sicuramente sarà qualcosa di bello.
Fuori c’è il mare della costa azzurra e il vento sbatte sulle finestre senza chiedere scusa o permesso, senza chiedere nulla.
Esco. Fuori nel giardino è pieno di pozzanghere e ci sono talmente tante statue che si riflettono dentro queste pozzanghere,
che sembra una di quelle feste con un sacco di gente.
E mentre sogniamo ti sniffo sulle cosce, la poesia del mondo quello violentato, da te , da me, dagli altri, dalle nostre guerre
dalle altre guerre, da tutti gli infiniti modi per dire grazie, per guardare avanti, per non dimenticarsi l’uno dell’altra domani mattina
quando io dopo essere stato sveglio tutta la notte, crollerò in un sonno profondo, e tu ti sveglierai ignorando il fatto
di essere stata a tua volta il sogno di qualcun altro.
Ma la notte dura ancora un po’ e mentre sento i primi cani pisciare per strada, le prime porte di casa aprirsi, i primi profumi di caffè
le lamette del vicino che sbattono sul lavandino, bè nonostante questo ancora manca un po’, ed io vorrei organizzarmi queste ultime ore..
anche se ho paura di non fare in tempo a dirti tutto…
Al sorgere del sole tu andrai via, ed io so già che ripercorrerò le lenzuola verdi che non laverò per molto tempo, bacerò i cuscini
sui quali sono rimasti pochi capelli che ti ho strappato tra violenza e risate strozzate, quindi sei libera di andare
ma sicuramente riposerò su una collina blu e a te solo a te dedicherò l’anima più profonda di ogni mia poesia.
Perché lo sai le parole molto spesso, hanno un destino migliore di chi le scrive.
*di Marco Amoroso
a cura di Silvia Buffo