A Roberto Mancini, già docente di Storia e filosofia in un importante liceo romano, e membro della Consulta nazionale della Scuola alla Camera dei Deputati, dobbiamo (da un’idea di Dario Canali, dirigente del sindacato UGL metalmeccanici) un saggio che è una dettagliata biografia di Josef Tiso (1887- 1947), “Josef Tiso- Con il popolo e per il popolo”( Milano, Ritter ed., 2017): personaggio, oggi, in Occidente quasi dimenticato, ma tuttora molto popolare nel suo Paese, la Slovacchia.
Sacerdote cattolico sin dal 1910, laureatosi in teologia a Vienna e formatosi nel clima del cattolicesimo sociale di Leone XIII, il Papa della storica enciclica “Rerum novarum” , Tiso, negli anni ’20 uno dei leader del Partito Popolare Slovacco, formazione d’ ispirazione cattolica nata nel 1913 (quando la Slovacchia era ancora provincia dell’Impero Austro-Ungarico), è passato alla storia, in sostanza, come il “Quisling slovacco”, divenuto nel ’39 presidente d’ uno Stato fantoccio – la Slovacchia, appunto – creato unicamente da Hitler dopo la sua occupazione, a marzo di quell’anno, della Repubblica Ceca. Mancini, già autore di altri saggi di storia controcorrente, corregge fortemente questo giudizio analizzando a fondo il percorso religioso-politico di Tiso e la storia della Cecoslovacchia dal 1918 ( l’ anno della sua nascita, col crollo dell’ Impero asburgico) in poi. Come già rilevato, in passato, da uno studioso cattolico come Vittorio Messori, Mancini focalizza le tre alternative che nell’autunno del ’38, convocato da Hitler che, grazie alla vergogna degli accordi di di Monaco, stava annettendosi i Sudeti, Tiso si vide brutalmente sottoporre dal Fuhrer. O l’ invasione tedesca della Slovacchia ( come poi sarebbe accaduto ai cechi), o il suo smembramento tra i vicini ( Ungheria in primo luogo), o l’ indipendenza da Praga, con la fine dell’ innaturale matrimonio coi cechi, diversi per lingua, cultura, religione (obbiettivo che il movimento nazionale slovacco aveva da decenni), ma a patto di divenire alleati del Reich. In questa situazione, Tiso scelse, realisticamente, il male minore: divenendo poi nel ’39, come leader del Partito Popolare Slovacco, Primo ministro del nuovo Stato ( da marzo, con la rottura definitiva con Praga e la fine dell’indipendenza ceca) e, in seguito, Presidente (1939-1944). Ispirandosi non al nazismo, ma piu’ al fascismo italiano , con le sue indubbie realizzazioni sociali, Tiso, per certi aspetti accostabile anche all’ austriaco Dolfuss ( il cancelliere assassinato dai nazisti nel fallito golpe filotedesco del ’34), riuscì – ricorda l’ Autore – a pilotare il suo Paese tenendolo abbastanza fuori dall’ incendio europeo, e sui binari d’un certo sviluppo economico e culturale. Mentre, se non riuscì ad impedire le deportazioni di ebrei slovacchi (cui Tiso, pur essendo antisemita, era fortemente contrario), riuscì però a bloccarle nell’ ottobre 1942, quando il destino degli ebrei nei lager era apparso ormai chiaramente, e vi erano state proteste pubbliche ( oltre a forti pressioni da parte del Vaticano). La Slovacchia fu così il primo Stato nell’orbita della Germania nazista a fermare le deportazioni: anche se queste avevan causato già la morte della maggior parte dei suoi ebrei, e nell’ autunno del ’44, avvicinandosi ormai l’ Armata Rossa, i nazisti ne avrebbero imposto la ripresa.
A Pasqua del ’45, catturato dagli Alleati che lo riconsegnarono al nuovo Stato cecoslovacco, Tiso fu imprigionato con l’accusa di tradimento e collaborazione coi nazisti. Sebbene il Presidente Edvard Beneš avesse la possibilità di concedere la grazia, lasciò che la decisione definitiva fosse presa dal Governo, nel quale i ministri socialisti e comunisti, contrari alla clemenza, superarono quelli del Partito Democratico e del Partito Popolare, finendo con l’ aumentare la frattura insanabile tra Governo ceco e slovacchi, a causa appunto della popolarità di Tiso. L’ ex-presidente slovacco veniva quindi impiccato il 18 aprile 1947, tra le proteste del Vaticano ( che pure aveva fatto sapere, a guerra ormai alla fine, di non aver mai approvato le ambiguità della sua politica) per il trattamento inumano riservatogli (l’impiccagione, fatta con un cappio speciale, era durata quasi dieci minuti!).
Trovatosi a guidare il suo Paese in uno dei momenti peggiori della storia, Tiso, in sostanza, cercò l’ aiuto di uno dei peggiori tiranni della storia: non avendo però, in quel momento, altra scelta (a guerra appena finita,del resto, avrebbe coraggiosamente rifiutato l’ invito dei sovietici a restare Presidente d’ una nuova Slovacchia comunista).Il resto, è storia nota: il 1 gennaio 1993, l’artificiosa unione ceco-slovacca, reimposta dopo la guerra da Mosca, si sarebbe definitivamente rotta, dopo il crollo dei Muri dell’ 89. Mancini chiude la sua analisi soffermandosi, nell’ultimo capitolo, sul,nuovo “Partito Popolare Slovacchia Nostra”, fondato nel 2010, che si rifà fortemente all’eredità di Josef Tiso. E sulla figura del suo leader, Marian Kotleba ( su posizioni simili a quelle di Forza nuova e Alba Dorata in Grecia, fortemente antiNATO e antiUE): che nel 2013 – un po’, diremmo, da Haider slovacco – è divenuto a sorpresa presidente della regione di Banska Bystrica, la piu’ grande della Slovacchia, battendo lo stesso presidente uscente, il socialdemocratico Viktor Manka.
Mentre ricorda l’omaggio sincero che , tuttora, tanti cittadini slovacchi tributano ogni anno a Tiso, nel cimitero Martin di Bratislava,sulla sua presunta tomba ( non si conosce, infatti, il luogo esatto della sua sepoltura).
Fabrizio Federici