A Via della Lungara, nel cuore di Trastevere, scende la notte. Sullo schermo illuminato compare il volto di un giovane Diego Bianchi: è il 2013 e il conduttore di Gazebo in una clip inquadra un gruppo di suore che canta dietro di lui “papa novo, papa novo” dopo le dimissioni di Ratzinger. In un freddo giovedì d’inverno di fine febbraio, l’elicottero del pontefice emerito si alza in volo su una piazza gremita di fedeli e curiosi, e abbandona per sempre S. Pietro alla volta di Castel Gandolfo. Nel 2013 desta attenzione chi parte, ma soprattutto chi arriva: undici giorni dopo l’addio dato da Benedetto XVI, i grillini varcano per la prima volta la soglia di Montecitorio e a Dicembre Renzi approda alla segreteria del PD.
Un anno straordinariamente nuovo. Eppure c’è da chiedersi se quel nuovo, alla luce degli eventi successivi , sia stato”troppo nuovo” o abbia deluso in parte quanti vi abbiano prestato fede. A questo quesito ha cercato di rispondere Marco Damilano che ieri, in occasione della rassegna Venti d’Estate voluta dalla Casa internazionale delle Donne, ha presentato il suo ultimo libro, Processo al Nuovo, aiutato dall’inseparabile Diego Banchi e dalla giornalista Francesca Schianchi
In Centocinquanta pagine il vicedirettore dell’Espresso, da ideale pubblico ministero, condensa una ragionata e appassionante requisitoria contro il Nuovo. Riassume una ad una tutte le prove e gli indizi che ne hanno reso irresistibile il mito quanto irraggiungibile la realizzazione concreta per la società italiana. Il “cambio di pelle” avviene con le elezioni del 1983 che interrompono il mantra della “continuità”. Nasce la politica da teatro in cui a ciascun politico è concesso di scegliere e cambiare il proprio nemico di turno, ma nella quale il ruolo da primo attore spetta a uno solo.
E per la prima volta se lo conquista Craxi, l’outsider dall’ottimismo facile con i suoi spot in tv e il tarlo per il cambiamento e la Grande Riforma che ancora oggi, alla diciassettesima legislatura, rimane fumo negli occhi.
Il Nuovo corre a marce spiegate e investe tutti i partiti nella speranza di dar loro nuova credibilità. Simboli, nomi fantastici e dove trovarli. Dalla Margherita all’Ulivo, passando per Italia dei Valori e Forza Italia, si smantellano le “arcaiche “ ideologie, fino all’avvento di un nuovo “anno zero “ portato da Berlusconi all’indomani di Tangentopoli. Perso il senso di collettività del partito e erose dall’interno le istituzioni per colpa di chi, pur essendone parte, indossa la casacca da anti-politico e “spara contro il suo stesso palazzo”, rimane predominante e isolata la figura del Leader. “Volpe e leone”, simulatore e dissimulatore, per il Principe- leader la presa del potere giustifica i mezzi .
Con l’occhio da chirurgo dell’informazione politica, Damilano analizza l’anatomia dei tre homines novi che hanno fatto la loro comparsa sulla scena italiana . Parte dal tecnico Monti descritto nell’incedere robotico nell’aula del Parlamento nel 2011. Poco tempo è bastato per fargli svestire i panni del professore e del tecnocrate, per mettere indosso quelli su misura da politico di professione fino alla nascita di Scelta Civica . Continua con il Comico, Giuseppe Grillo che ha creato dal nulla una comunità, unita dalla rete e dalla fede mistica nel “uno vale uno” ovvero il cambiamento operato da cittadini estranei alla politica.
Entrati nel circuito politico, sembra accantonata ormai l’idea di aprire il Parlamento “come una scatoletta di tonno” e quasi completamente persa la carica innovativa di partenza. Fino ad arrivare al Rottamatore , Matteo Renzi che per Damilano è stato prima di tutto “ un racconto”. Il racconto del Nuovo. Si è proposto lui da solo, di colmare il vuoto delle istituzioni e ha concentrato tutte l’attenzione sull’approccio “friedly” e immediato, fatto da corse contro il tempo ( il programma dei cento giorni ) o da numeri (le cento proposte, gli 80 euro, il 40 %) . Lo storytelling più raffinato non l’ha risparmiato dalla sconfitta referendaria né ha alleggerito la colpa di aver ideato “una riforma per sottrazione”.
Renzi ha rottamato anche la sua aurea da sindaco d’Italia per la celebrità, consumando se stesso e il Nuovo. Questo è il contrappasso degli uomini nuovi: la redenzione nell’eterno presente. Se hanno naturalmente un cattivo rapporto con i politici e le istituzioni del passato nei confronti dei quali si pongono come alternativa, lo hanno con il futuro perché il nuovo vive solo nell’attesa, nell’annuncio del futuro , e come tale –spiega Damilano- sempre nel punto di partenza .
Il primo passo per il Nuovo che verrà, è la conoscenza, l’analisi critica di questi fatti. Processo al Nuovo è la difesa dell’ansia di cambiamento delle generazioni future e la richiesta alla classe politica di una presa di responsabilità anche a costo di rinunciare allo storytelling, e di mettere in campo personaggi più impopolari dei Nuovi ma meno individualisti. La strada è in salita. Dobbiamo iniziare a ripercorrerla. Di nuovo.