di Alberto Zei
Strane coincidenze – Le recenti verifiche sulla rotta della Concordia lasciano evincere che volontà diverse da quella di Schettino hanno condizionato l’ avvicinamento all’ isola e le relative manovre di disimpegno dalle rocce Si doveva trattare di un semplice inchino a quasi un chilometro dal porto del Giglio, che si è trasformato in una assurda tragedia sugli scogli antistanti le isolette delle Scole. Troppe coincidenze differenti e inaspettate sono avvenute in quella notte per pensare che il solo destino abbia determinato la strana sequenza di azioni o di omissioni a bordo della Concordia. Troppe strane coincidenze avrebbero causato la spirale perversa della collisione quando soltanto interrompendo per una sola volta un solo evento tutto si sarebbe fermato e nulla sarebbe avvenuto. Ripercorriamo le circostanze di quel tragico 13 gennaio 2011 per cercare di capire come tutto questo possa essere accaduto.
La situazione in plancia – Quando Schettino salì sul ponte per eseguire lui stesso il famigerato inchino, erano presenti in plancia: il Primo Ufficiale Ambrosio, il Secondo Ufficiale Ursino e il Terzo Ufficiale Coronica, un allievo Ufficiale di Coperta, oltre che a due o tre altre persone al di fuori del contesto di comando. Schettino chiese agli ufficiali dello staff di essere avvisato quando la nave avesse raggiunto 0,5 miglia dalla costa (circa 925 m). A quella distanza il fondale marino sul quale la nave sarebbe transitata, superava abbondantemente i 100 m di profondità. Non vi era dunque problema alcuno che la Concordia il cui pescaggio è di soli 8 m sfilasse lungo la costa davanti al Giglio. Vediamo che cosa lo stesso Schettino dichiara al Magistrato subito dopo l’ incidente su questa inspiegabile circostanza. Dalla deposizione di Schettino si legge sul relativo verbale: “Sul ponte di comando, era stata tracciata la rotta, io avevo fissato un 0,5 di distanza dal passaggio; al primo ufficiale che seguiva le consegne impartite gli dissi di ridurre la velocità inizialmente man mano che la nave accostava e si portava sulla dritta. Dissi: adesso io assumo il comando e termino la manovra.”
La sensazione di qualcosa – In una intervista riportata dall’Ansa si legge: “In plancia – ricorda la sera del 13 gennaio lo stesso Schettino – non vi era caos, la navigazione era semplice e tranquilla, ero in plancia in sostanza per salutare l’isola, altrimenti non sarei salito: in una situazione chiara e di estrema semplicità, ho visto prevalere dapprima un inaspettato ‘cronico disagio’ per aver richiesto di effettuare un’accostata con timone a mano che avrebbe dovuto essere di normale routine e invece si è trasformata in una tragedia”. “Di certo – prosegue il Comandante della Costa Concordia riferito ai suoi ufficiali – avrebbero dovuto avvisarmi sul ritardo dell’accostata… Io credevo che si stesse rispettando la distanza minima dalla costa di 0,5 miglia che avevo chiesto appena entrato in plancia. A quel punto qualsiasi distanza che avessero potuto intendere a seguito della conversazione intercorsa con Palombo alla quale facevo riferimento a 0,3 – 0,4 poteva anche andare bene come campanello di allarme, ma con quella rotta salivamo direttamente sugli scogli. Nessuno mi ha avvisato quando quel limite è stato superato. Mi chiedo come si fa a non profferire parola, dubbio o incertezza quando è in gioco così tanto”.
Di tutto e di più – In quella notte a cadenzare la serie delle circostanze relazionali negative del Comandante Schettino con l’ equipaggio, si va dall’ inaspettato “cronico disagio’”, alla disinvolta osservazione della manovra da parte dei tre Ufficiali di Coperta, dall’ omesso riporto del superamento del limite richiesto di 0,5 miglia, alla mancata segnalazione della eccessiva penetrazione della nave verso terra. A questo punto subentra il timoniere indonesiano Rusli. Egli infatti, dopo il congruo periodo di addestramento per l’esercizio dell’attività a cui è preposto e dopo un altrettanto, si presume, sufficiente periodo operativo al governo di una nave di prestigio come la Concordia, diviene improvvisamente refrattario ai comandi che Schettino impartisce.
I riscontri dei fatti
Come si legge dai verbali, a bordo non vi era agitazione alcuna, per l’eccessivo avvicinamento a costa. Rusli quindi, non poteva essere agitato a causa dell’ ansia di una situazione che ancora non conosceva. O la conosceva? Gli errori, quindi, non erano neppure teoricamente imputabili ad uno stato di nervosismo che fino a quel momento il timoniere non avrebbe dovuto avere. Dalla lettura della relazione peritale, durante la navigazione Rusli sembra perdere il significato delle parole, non comprende o non esegue se non, in modo sbagliato. Il timoniere, infatti, in meno di un minuto travisa due vitali ordini del Comandante. La registrazione della scatola nera si apre alle 21.43. “Schettino (in inglese) ordina “starboard” (barra) “350”; comando questo di estrema comprensibilità ma che egli tuttavia dimostra di capire a tratti, perché all’ordine risponde “starboard 340”. Schettino lo richiama: “Otherwise we go on the rocks”, altrimenti finiamo sugli scogli. Parole accolte da risate. In quel momento non sembra esserci alcuna tensione. Né di Schettino, né degli ufficiali di coperta che sono con lui.“
Il colpo di grazia – Il travisamento dei comandi da parte di Rusli continua poco più tardi. “Il timoniere non esegue prontamente quanto ordinato – spiegano i periti nella loro relazione finale al Gip, aggiungendo che l’omissione è seguita da un grave errore nella direzione di accostata – quando il comandante decide di passare da barra al centro fino a 20 gradi barra a sinistra, il timoniere va a dritta arrivando fino a circa 20 gradi, come se avesse inteso dritta al posto di sinistra, per poi riportare la barra a sinistra, con un ritardo significativo”. Si tratta in pratica di un comando eseguito al contrario, che ha aggravato notevolmente la situazione già critica. Infatti, Rusli corregge (si fa per dire) l’errore annullando la precedente manovra effettuata. La perizia continua riportando che il timoniere “probabilmente di sua iniziativa, corregge a sinistra per soddisfare l’ordine iniziale di venti gradi a sinistra, senza produrre però un cambio di direzione della nave ma solo un rallentamento dell’accostata”. Ossia, dopo una perdita d’ acqua per 13 vitali secondi, il timoniere riporta la nave nella direzione che aveva prima del comando; mentre in questo tempo la Concordia si è assurdamente avvicinata alla costa di circa 100 metri nella direzione sbagliata.
Se ciò non bastasse – La serie dell’ esecuzione dei comandi in modo arbitrario non si esaurisce neppure a questo punto. Il Comandante Schettino per schivare la collisione che ormai sembrava imminente, dispone negli ultimi secondi una manovra disperata per evitare che la virata precedente portasse la Concordia sugli scogli che ormai apparivano alla sinistra della nave, in tutta chiarezza. Egli dispone allora una rapida successione di virate e contro virate per ridurre gli sbandamenti soprattutto della poppa verso la direzione degli scogli.
I tre ultimi comandi di Schettino prima dell’ impatto sono stati, come è noto, quelli del c.d. “scodinzolo” al fine di contrastare le sbandate della nave per forza centrifuga: tutta barra a sinistra, tutta barra a dritta e tutta barra a sinistra. Il timoniere però adesso decide in proprio, ideando lui stesso una manovra arbitraria quanto catastrofica. Si vede infatti dal tracciato sul computer la posizione dei timoni che Rusli, oltre alle arbitrarie manovre precedenti, imposta adesso una sola virata di 35° a sinistra dei quali la Concordia ne compie verso la secca soltanto 20 fino all’impatto della carena contro lo scoglio.
Senza enfasi – Alla luce dei fatti descritti, senza voler ricorrere neppure all’ ombra della retorica, viene però spontaneo chiedersi, con quale giustizia da una parte si condanna solo chi al di la di ogni ragionevole dubbio risulta colpevole; mentre dall’ altra, si mantengono le medesime accuse su chi, al di là di ogni ragionevole dubbio, risulterebbe innocente. “Ma ci sarà pure, un giudice a Berlino!”