Se quindici, dieci o forse anche cinque anni fa, qualcuno avesse detto che al Palazzo delle Esposizioni, uno dei più importanti poli museali della Capitale, sarebbe stata ospitata una mostra interamente dedicata al mondo dei Manga, sicuramente più di qualcuno avrebbe storto il naso. Probabilmente sarebbe stata derubricata ad una faccenda per bambini, si sarebbe detto che i “fumetti” sono fatti per essere letti nel tempo libero, per far riposare la mente, e non certo per essere ospitati nelle sale di un museo. Eppure domani farà il suo esordio mondiale Mangasia – Wonderlands of asian comics, un’esposizione che raccoglie al suo interno veri e propri reperti di quest’arte
giapponese (e, per estensione, ormai di tutto il continente asiatico) che da parecchi anni ha conquistato ogni angolo del globo. La tappa romana della mostra terminerà il 21 gennaio 2018, poi il viaggio continuerà per tutto il mondo nei prossimi cinque anni.
L’esposizione è strutturata in cinque diversi percorsi, ognuno dei quali gira attorno ad una caratteristica basilare di questo mondo fumettistico del tutto peculiare. Il curatore Paul Gravett ha sviscerato ogni prospettiva che, sin dalla sua nascita, è stata fondamentale per la crescita e l’espansione di quest’arte narrativa. Tramite l’esposizione di tavole originali, di albi a fumetti antichi e moderni, alcuni dei quali rarissimi, che di rado, altro merito di Mangasia, sono usciti dal continente asiatico, si intraprende un viaggio attraverso la storia dei manga, arrivando a confrontarsi con ciò che essi hanno rappresentato per le società e le culture, nipponica prima e, successivamente, dell’intero continente asiatico.
Già dalle prime tavole esposte viene abbattuta la barriera mentale fra arte e manga, fra prodotto culturale e ciò che ancora oggi viene considerato mero intrattenimento. Obiettivo principale della mostra, infatti, è spiegare cosa si cela dietro i disegni e le storie dei mangaka (i fumettisti orientali), qual è la cultura che ha potuto dare origine ad un prodotto del genere, la sua evoluzione in un continente la cui storia è spesso stata segnata da conflitti e invasioni, da giochi di potere e muri, culturali e non, eretti fra i vari paesi. Tutte caratteristiche che ritroviamo, in varie forme, nelle opere esposte.
Dopo un’introduzione in cui viene esplicata, tramite parole ed immagini, la differenziazione fra le opere fumettistiche dei vari paesi asiatici, partendo dal Giappone per poi approdare a Cina, India, Vietnam, Malesia, Singapore, Taiwan, le due Coree, Indonesia, Filippine ed Hong Kong, si arriva alla spiegazione sociale e culturale del
fenomeno dei manga. Una forma artistica che è stata spesso utilizzata per gli scopi più vari, che sono andati oltre quello di semplice intrattenimento per le masse. Propaganda politica da parte dei governi totalitari, denuncia delle mancanze di un determinato sistema politico e sociale, funzione didattica soprattutto per ciò che concerne l’aspetto storico della regione di provenienza, sono tutti aspetti ben presenti e radicati nella cultura dei manga che, spesso e volentieri, attinge a piene mani anche dal folklore, spostando, così, il suo focus dalla realtà alla cultura tradizionale. Ed è così che fra le pagine inchiostrate dei mangaka più famosi del mondo, fanno spesso capolino mostri e creature fantastiche, eroi della mitologia asiatica, divinità.
È chiaro che i manga sono un mix di tutte queste ispirazioni, e al loro interno, fra le pagine inchiostrate che ci osservano da dietro i vetri del museo, si può scorgere la storia di un intero continente, con tutte le sue contraddizioni, le sue lotte interne, le sue culture millenarie e diversissime fra loro. Millenni di cultura racchiusi in migliaia e migliaia di pagine, litri di inchiostro (anche se ormai le tecnologie digitali hanno soppiantato il pennino, ma siamo romantici, suvvia!) versati per dipingere e rispecchiare quella che è una cultura che noi, da occidentali, non conosciamo appieno, e forse non comprendiamo. Interessante è anche la sezione “per adulti”, incentrata sui manga erotici, occasione per parlare di come viene vista la sessualità in un continente così lontano dal nostro, analizzandone, attraverso i lavori esposti, l’evoluzione nella società.
La mostra è molto ben organizzata, offre la possibilità di immergersi completamente in quest’arte quasi mistica, e la divisione per argomenti di interesse la rende fruibile e mai noiosa. Per ogni sezione, poi, sono presenti uno o più pannelli che aiutano ad inserire nel giusto contesto le opere che si stanno osservando, anch’essi davvero molto chiari. Alla fine dell’esposizione ci sono anche alcune piacevoli sorprese, come alcune installazioni ispirate al mondo manga e la possibilità di immedesimarsi in un mecha, uno di quei robottoni che abbiamo imparato ad amare da piccoli grazie ai cartoni animati, tramite una telecamera che riprodurrà i nostri movimenti trasmettendoli alla creatura meccanica. Magari quest’ultima installazione poteva avere una resa migliore, ma in confronto all’enorme quantità di materiale raccolto e di lavoro invisibile che hanno reso questa mostra qualcosa che va assolutamente visitato, per gli amanti del genere e non, per chi ama la cultura nipponica e vorrebbe approfondire, ma anche per i semplici curiosi, è una goccia nell’oceano. O, per restare in tema, una goccia d’inchiostro nella boccetta di un mangaka.
Andrea Ardone