Quando si parla di Roma, c’è una tematica che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, non viene mai affrontata adeguatamente, ovvero quella delle periferie. Quartieri spesso degradati, dove l’intervento dello Stato è pressoché assente e non riesce ad andare oltre le vuote parole elettorali di turno, secondo le quali tutto dovrebbe cambiare ma, alla fine, lasciano tutto sempre com’è. Il Tufello è uno di questi quartieri popolari, situato nella zona nord della Capitale, dove solamente negli ultimi anni si sta vedendo qualche timido cambiamento, purtroppo insufficiente. In questa zona i servizi offerti al cittadino, quando presenti, sono spesso minimi, strade e strutture abitative non rispecchiano quella che dovrebbe essere la qualità di una capitale europea, e le poche zone di aggregazione presenti sono quasi tutte presiedute dai cittadini stessi.
Una di queste, la più antica, è il Centro di Cultura Popolare del Tufello, una struttura autogestita nella quale la cittadinanza ha trovato uno spazio capace di sopperire alle mancanze descritte in precedenza. Il CCP, questa la sigla nel quale lo spazio si riconosce, nasce come associazione culturale nel 1975, occupando uno stabile abbandonato e non agibile in via Capraia, allestendo al suo interno tutto ciò che può servire per lo sviluppo culturale di un quartiere
come quello nel quale si è andato ad inserire, dopo un lungo lavoro di manovalanza per rendere la struttura praticabile. In poco tempo il CCP si è distinto per esser diventato quel centro di aggregazione che in un quartiere come il Tufello mancava da troppo tempo. I corsi di ballo, recitazione, musicali organizzati dai volontari hanno fatto in modo che sempre più cittadini del quartiere, ma anche dalle zone limitrofe, potessero lavorare insieme, dando sfogo alle proprie creatività e dando al contempo uno slancio culturale all’intera zona. Questo centro si è fin da subito distinto per una valorizzazione del territorio, facendo della cittadinanza il proprio punto focale, la base su cui costruire poi un progetto veramente importante. Tutte le attività del centro di cultura popolare sono state possibili tramite un sistema di autofinanziamenti e di donazioni volontarie dei partecipanti alle iniziative che vengono proposte, oltre che attraverso la collaborazione con altre strutture presenti sia in quello stesso territorio che altrove.
Se escludiamo il polo che si è andato a costituire nella zona di Porta di Roma, che comunque si inserisce in un contesto diverso, essendo parte di un progetto che si distacca dal quartiere in questione, al Tufello non esistono teatri, non ci sono cinema o centri culturali propriamente detti. Insieme alla palestra popolare Valerio Verbano (anch’essa autogestita) ed alla biblioteca Ennio Flaiano, comunque adibite ad attività molto diverse rispetto a quelle che si svolgono in via Capraia, il CCP è l’unico vero spazio in cui le esigenze culturali del quartiere hanno una voce, possono trovare una strada da percorrere. Ed è anche per questo motivo che, nell’ultimo anno, c’è stata una grandissima mobilitazione a seguito della notifica di chiusura che era stata inviata ai gestori del centro, notizia che ha portato il quartiere a lottare per ciò che negli anni si è andato faticosamente a costruire. Già negli anni passati, da parte dei lavoratori del CCP, era stata inviata la richiesta agli uffici dell’ATER (quando ancora si chiama IACP) per mettersi in regola con i pagamenti arretrati, richieste che, stando alle parole di Flavio Grubbissich, presidente dell’associazione, sono state puntualmente ignorate. La mora richiesta dall’ATER nella causa fatta al Centro di Cultura Popolare era inaffrontabile dalle finanze dell’associazione, che ha promosso una raccolta fondi, per dare una speranza al quartiere. Spazi che sono stati resi agibili e messi a disposizione del quartiere, spazi in cui si è promossa la cultura a prezzi popolari, non paragonabili a quelli dei grandi teatri, e nei quali sono stati ospitati artisti del calibro di Ascanio Celestini e Germano Mazzocchetti, dove si sono promossi corsi di teatro per adulti, bambini, per diversamente abili, corsi di danza e di musica hanno rischiato la chiusura. La mobilitazione del mondo culturale e, soprattutto, degli abitanti del quartiere e non solo, hanno per adesso sventato il pericolo della chiusura, pericolo che però, purtroppo, non è del tutto scongiurato.
Quella del CCP è solamente una delle tante storie che dovrebbero far riflettere quelle istituzioni che per troppo tempo hanno lasciato le periferie in disparte, non creando luoghi adibiti alla cultura, allo sport, a rendere attiva la cittadinanza, che ha sempre ed ovunque voglia di lasciare un segno, di fare in modo che i quartieri nei quali vive la propria vita siano parte integrante della città, a tutti gli effetti.
Andrea Ardone