L’idea che sta alla base di Sherlock è molto semplice: traslare in epoca moderna le avventure e gli stilemi propri del personaggio creato da Sir Arthur Conan Doyle alla fine del XIX secolo. Così, invece di aggirarsi in una Londra Vittoriana, il detective più famoso del mondo si trova immerso nell’atmosfera degli anni 2000, le carrozze sono sostituite dalle automobili, le comunicazioni su carta dagli sms, il diario di Watson diventa un blog di discreto successo per gli appassionati. Tutto questo, unito al meraviglioso intreccio narrativo costruito dai creatori della serie, Steve Moffat e Mark Gatiss, all’intepretazione di Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che sembrano nati per vestire i panni di Sherlock Holmes e del dottor Watson, ha fatto in modo di rendere questa serie televisiva uno dei prodotti di punta della BBC, seguita anno dopo anno da
un numero sempre maggiore di spettatori.
Nello speciale di Natale “Sherlock – L’abominevole sposa”, creato come introduzione alla quarta stagione, che vedrà la luce nel 2017, le carte in tavola vengono nuovamente rigirate, ed i personaggi sono immersi nelle atmosfere in cui la penna di Conan Doyle li dirigeva a suo tempo, quell’età Vittoriana che non ha mai smesso di esercitare una profonda attrazione verso gli autori britannici di ogni epoca. In questo episodio speciale Moffat e Gatiss fanno un lavoro eccezionale, mantenendo tutte le caratteristiche che hanno reso grande questa serie, proiettando lo spettatore in un vorticoso stravolgersi degli eventi, fra ribaltamenti tematici e temporali.
Ribaltamenti temporali. E’ bene scriverlo due volte perchè questo concetto è una delle chiavi dell’episodio natalizio di Sherlock. Difatti, mentre tutta la prima parte procede in maniera lineare -per quanto possano esserlo gli standard di questa serie-, nella seconda si assiste a repentini cambi di fronte, passando in maniera subitanea dall’epoca Vittoriana a quella moderna, avanti ed indietro più e più volte. I due autori costruiscono in questo modo un perfetto collegamento con il finale della terza stagione, rivelando che il segmento di trama ambientato nella Londra del XIX secolo, altro non è che frutto della mente di Sherlock, rifugiato in quello che chiama il suo “palazzo mentale”, nel quale cerca collegamenti fra un caso avvenuto cento anni prima e quello attuale che lui stesso si trova a dover fronteggiare, ovvero il ritorno dalla morte del suo acerrimo nemico, Jim Moriarty. Così, mentre il dottor Watson e lo Sherlock Holmes vittoriani investigano su una novella sposa suicida, apparentemente tornata dalla tomba con irrefrenabili istinti omicidi, le loro controparti moderne sono costrette a fronteggiare l’ombra di un
avversario che ritenevano ormai sconfitto. Ma vanno anche oltre, dialogando fra loro nonostante le loro esistenze parallele eppure contigue, arrivando a trattare tematiche proprie di ogni epoca, come il ruolo della donna nella società, argomento attuale oggi così come nel 1895.
Come al solito i rimandi all’iconografia tradizionale di Conan Doyle sono molteplici, e vanno dai riferimenti alla dipendenza da cocaina del protagonista a quell’”Elementare Watson” che viene pronunciato da Sherlock Holmes per la prima volta da quando la saga è iniziata, passando per elementi di contorno come la scarpa in cui il detective ripone il tabacco per la sua pipa ed i fori di proiettile sul muro del suo appartamento. Fra tutti questi forse il più importante è rappresentato dalle cascate Reichenbach, una delle scenografie del palazzo mentale di Sherlock, dove si consuma lo scontro finale fra lui e Moriarty, le quali nei libri di Doyle fungono da sfondo alla finta morte del detective (poi tornato alla vita a seguito delle proteste dei lettori). Gli elementi di fusione fra opera letteraria, narrazione televisiva, fra presente e passato sono probabilmente ciò che rende questa puntata di raccordo fra la terza e la quarta stagione così interessante. Il tutto è condito da un umorismo moderno e cinico, cifra stilistica di questa serie che fa da contraltare al taglio gotico conferito alle ambientazioni.
I due autori portano a compimento un altro ottimo lavoro che sta riscrivendo in maniera pop la figura di Sherlock Holmes, riuscendo al tempo stesso a dare un palliativo a quanti attendono la nuova stagione, ora più che mai.
Note a margine: uno dei due creatori, Mark Gatiss, che nella serie interpreta Mycroft, dirigente dei servizi segreti nonchè fratello di Sherlock, con il quale è costantemente in lotta per decretare quale dei due sia più intelligente, nella sua controparte vittoriana appare come un obeso che difende la corona d’Inghilterra senza riuscire ad alzarsi dalla poltrona a causa del suo peso, ingurgitando tutto ciò che gli capita a tiro. I due, sotto gli occhi di uno sbalordito dottor Watson, scommettono su quanto gli resti da vivere, rivedendo al ribasso le loro teorie ad ogni fetta di torta mandata giù. Humor inglese avete detto?
Andrea Ardone