di Alberto Zei
La Prof.ssa Travaini è attualmente docente di Numismatica presso il dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano. Ma è nota e stimata anche all’ estero per la sua vasta cultura professionale tanto da essere stata insignita a Londra della prestigiosa medaglia della Royal Numismatic Society ed essere anche la prima studiosa italiana nominata tra i 10 membri onorari di una delle più antiche e autorevoli società del settore, ossia la Société Royale de Numismatique de Belgique.
Presentare la Prof.ssa Travaini non è soltanto un atto doveroso nei confronti di una studiosa nel settore della numismatica, riconosciuta per il suo prestigio anche all’estero, ma per quanto più possa riguardare i lettori, un rafforzativo che il parere espresso sull’argomento trattato sia difficilmente confutabile, proprio in virtù delle sue intrinseche qualità professionali.
In altri termini si vorrebbe esprimere con questa intervista un giudizio informato ai massimi livelli sulla travagliata vicenda della zecca di Marciana, ritenuta tale dal Comune anche se non si conosce nessuna moneta coniata a Marciana, ma da altri considerata una tomba sotterranea etrusca.
È vero che, in particolare in questo periodo, la Professoressa è molto spesso impegnata, oltre che in attività didattiche, anche in conferenze e congressi in Italia e all’estero, ma ha accolto con piacere un’ intervista sulla discussa zecca di Marciana all’isola d’Elba in un ipogeo ora dotato di allestimento museale, aperto a pagamento al pubblico, come una autentica zecca. Secondo il Comune di Marciana si tratterebbe, infatti, di una Zecca realizzata verso la fine del XVI secolo dai principi Appiano, che oltre a Piombino possedevano anche parte dell’isola d’Elba dove, appunto, si troverebbe questo manufatto.
Prof.ssa Travaini, nell’introduzione ai due corposi volumi (ben 1664 pagine), editi dal Poligrafico dello Stato nel 2011 e da Lei curati, sulle zecche italiane fino all’Unità, Lei afferma testualmente che:“ molte sono le zecche ‘mai esistite’, create ad arte nel passato”. Ma perché in passato hanno inventato zecche?
“Per rispondere alla domanda vorrei ricordare innanzitutto quale fosse la funzione delle zecche. Il termine zecca ha due significati fondamentali: zecca come istituzione e quindi l’autorità di zecca che appartiene a un sovrano, un re, un principe o un comune, per concessione imperiale o decisione propria; e Zecca come luogo in cui l’autorità emittente che ha diritto di zecca batte moneta, e qui ci troviamo di fronte a un impianto industriale, con manodopera con tante funzioni molto specializzate.
L’autorità emittente decideva di produrre moneta per motivazioni diverse che potevano essere celebrative – monete per manifestare la propria autorità ai sudditi e agli stati vicini -, oppure militari, in questo caso serviva un certo quantitativo di moneta per pagare le spese per i materiali per le vettovaglie e quant’altro, o per corrompere funzionari nemici. In altri casi si batteva moneta per usi locali, ma spesso per lucro, producendo monete di qualità inferiore rispetto a quelle principali. Ma la cosa importante da tenere presente è che un diritto di zecca non generava automaticamente una produzione monetaria. Conosciamo casi in cui il diritto non fu mai utilizzato, un sovrano poteva anche non battere moneta subito e questo è il caso degli Appiano che avevano già ricevuto un privilegio di zecca dall’imperatore Massimiliano agli inizi del Cinquecento ma solo l’ultimo, Giacomo VII, a fine del Cinquecento fece battere monete.
Nel momento in cui si decide va di battere moneta non necessariamente si battevano tutte le serie monetali in tutti i metalli; si noti anche che quando una zecca veniva attivata la sua produzione non era continua in un modo uniforme e omogeneo per un tempo più o meno lungo.
Si poteva battere moneta per sei mesi con una produzione costante perché c’era bisogno di quel tipo di monete, e poi la zecca poteva restare inattiva per un periodo anche lungo; la manodopera veniva utilizzata per periodi limitati e poi non lavorava. Quindi -facendo una parentesi- questo è anche un aspetto che riguarda molto la storia del lavoro . Nel periodo di attività della zecca degli Appiano – tra Cinque e Seicento – le zecche erano degli impianti in fondo abbastanza semplici, tanto che queste monete erano battute interamente a mano, e tutte le fasi erano manuali: si passava dal momento della fusione a quello della realizzazione dei tondelli che venivano tagliati con cesoie e resi più o meno circolari, poi a quello della preparazione dei conii che erano realizzati da incisori bravi, spesso orafi; si coniavano poi le monete e venivano messe in circolazione dopo le opportune verifiche.
Le monete portavano impresse sulle due facce i segni distintivi dello Stato che le batteva quindi ritratti sovrani Comunque le imprese le insegna gli scudi araldici e sull’altro lato a volte c’era una un’immagine religiosa o altri motivi quindi dalla iconografia delle monete si risaliva all’autorità emittente perché con l’impronta del conio trasformava quel tondello di metallo in moneta che doveva essere garantita per quello che era il peso è il metallo.
Battere moneta era quindi uno dei massimi segni di espressione di autonomia e di autorità sovrana. In alcuni periodi le zecche furono più numerose che in altri nel Cinquecento il loro numero si ridusse con la formazione dei grandi stati territoriali In ogni caso va anche ricordato che uno stato anche di vaste dimensioni territoriali poteva decidere di produrre la moneta solo in una grande Zecca statale centralizzata. Perché questo? la ragione va cercata nelle necessità di sicurezza sia per l’entrata e l’uscita dei metalli preziosi e sia per il controllo del personale che era sempre soggetto a rischio di frodi e di accordi con mercanti e persone esterne alla Zecca. Si riteneva pertanto un rischio decentrare la produzione della moneta in zecche diverse perché era ancora più oneroso il controllo di molte sedi rispetto a controllo di una zecca unica centralizzata.
L’esistenza di una zecca per uno stato era molto importante ed è chiaro moneta propria rafforzasse il senso di identità nazionale, anche nella tradizione degli studi storici. E se avere una zecca comportava orgoglio e autocoscienza molto forti si può immaginare come potesse nascere anche la creazione di sedi di zecche che poi alla luce della ricerca storica più recente si sono rivelate non realistiche, inesistenti”.
Quali sono, per uno studioso, gli elementi essenziali per definire l’autenticità di una zecca?
“Vi sono documenti scritti e le monete stesse. Ci possono essere contratti di appalto tra un signore e gli appaltatori della zecca oppure regolamenti interni della gestione, o atti di compravendita in cui per esempio il signor tal dei tali zecchiere della zecca del tale posto ha venduto una vigna. Quindi tanti sono i riferimenti possibili nelle carte.Vi sono poi le monete stesse. Sulle monete però si indica il nome di un sovrano o di uno Stato cui appartiene il diritto di batterle, mentre molto spesso non è indicata la zecca fisica nella quale sono battute quelle determinate monete. Se l’autorità emittente è il granduca di Toscana e non vi sono elementi particolari che ci dicano il contrario si può presumere che la zecca sia quella di Firenze. In altri casi possono essere indicate anche zecche periferiche rispetto a quella della Capitale, ma non sempre sono indicati i nomi delle sedi dove era decentrata la produzione. La zecca regia siciliana dagli Aragonesi ai Borboni era a Messina e non nella capitale Palermo. . Se si decentrava la produzione vi dovevano essere delle necessità particolari, per esempio sede di zecca vicino a un confine in occasione di eventi militari, oppure sede di zecca attiva vicino a una particolare attività di riscossione di gabelle. Sono solo degli esempi ma non sono assolutamente la regola. Un piccolo Stato come quello degli Appiano avrebbe avuto un’unica sede in cui organizzare una produzione che definirei modesta rispetto alle zecche più importanti del tempo. La zecca degli Appiano non era una zecca veramente di importanza tale da rendere economicamente giustificabile il decentramento di attività.
Altro elemento importante è l’ubicazione della zecca fisica: la domanda da chiedere è qual è la sede rintracciabile di una antica attività di zecca? Le sedi delle zecche che ho studiato con molti colleghi nella loro continuità dall’antichità fino all’età moderna avevano un numero ridotto di esigenze, ma basilari. Innanzitutto sicurezza, quindi sono edifici chiusi sull’esterno ma aperti nell’interno spesso intorno a un cortile centrale, perché dal centro venivano la luce l’aria e l’ossigeno necessari alle attività produttive che affacciavano su questo cortile interno e che erano suddivise per le mansioni di cui si è parlato sopra ed erano sempre attività che presupponevano in gran parte fuoco e acqua, senza i quali non ci può essere moneta. Abbiamo documenti molto interessanti per tante zecche: sappiamo che ci sono stati incendi ripetuti che imponevano di sostituire eventuali parti in legno con parti nuove in muratura solida; la Zecca di Venezia degli inizi del ‘500 era andata a fuoco quasi completamente e si incaricò l’architetto Jacopo Sansovino di costruire la zecca che attualmente vediamo, oggi sede della biblioteca Marciana con un cortile appunto all’interno e un pozzo centrale. Bisogna poi unire alla documentazione – vale a dire fonti scritte, monete e realtà fisiche – anche un po’ di senso logico, e dobbiamo sempre porci le domande degli storici: perché? come? quando? chi? a quale scopo?”
Può citarmi qualche zecca – uso le sue parole – creata ad arte nel passato?
“Empoli. A volte ci sono documenti che parlano di moneta di conto precisando il luogo, per esempio fiorino empolese: in questi casi si tratta di moneta di conto e non vi sono elementi per poter asserire l’esistenza di una zecca a Empoli. La moneta di conto era quella usuale per i valori locali, e quindi parlare di fiorino empolese era un modo per dire ‘fiorino di conto del valore tot assegnato in quel momento in quel luogo’. Vi sono poi voci locali sull’ esistenza di una zecca in un certo periodo, e qui non faccio elenchi, rinviando al libro sulle zecche da me curato pubblicato dal Poligrafico nel 2011. Bisogna vagliare queste notizie alla luce della realtà dei fatti, con tutti gli elementi ai quali ho accennato sopra, quindi praticabilità del luogo, economicità del luogo, ragionevolezza del decentramento per l’autorità emittente responsabile della Zecca. Molte zecche non hanno superato il vaglio di questo filtro di inchiesta, e tra queste quella di Marciana”.
Tre anni fa è stato inaugurato a Marciana, nell’isola d’Elba, un museo della zecca di Marciana dentro un ipogeo a forma di croce scavato nel duro granito. Dicono che dalla fine del XVI secolo ci fosse la zecca degli Appiani Principi di Piombino. Le chiedo: è possibile che gli Appiano abbiano scavato 200 tonnellate di granito per fare una zecca in un luogo così inadatto?
“Quando ho saputo della attuale riesumazione della Zecca di Marciana e addirittura dell’apertura del museo di questa presunta Zecca ho avuto davvero una brutta sorpresa. Mi è sembrato quasi che tutto il lavoro decennale da me fatto per dare chiarezza storica alle zecche italiane sia stato inutile; il libro Le zecche italiane fino all’unità da me curato aveva lo scopo principale di raccogliere tutte le informazioni possibili su tutte le zecche italiane, notizie e documenti fino a quel momento sparsi in tanta bibliografia, in piccoli libri di storia locale e difficili da reperire, e anche di far pulizia di tante notizie che venivano riportate dal Seicento e dal Settecento in poi senza alcuna analisi recente. A questo libro hanno contribuito oltre 60 autori italiani e stranieri esperti nei rispettivi campi, recuperando notizie su centinaia e centinaia di zecche italiane in Italia e all’estero.
La voce Marciana l’ho curata io in questo libro, e qui ho riferito che la prima notizia sull’eventualità di una zecca dei Ludovisi, successori degli Appiano a Piombino, fu data per la prima volta da Guido Antonio Zanetti nel secondo volume della sua raccolta delle monete e zecche d’Italia pubblicato nel 1779. A pagina XXXX della prefazione al volume, Zanetti scrive: ‘Le fecero coniare nella propria Zecca che avevano fatto erigere sì in Piombino in luogo vicino alla Cittadella, ove ancora si conserva la fabbrica sebbene negletta, che in Follonica, come pure nell’Isola d’Elba oltre Rio, ed anche in Marciana restando oggidì denominata una stanza di ragione della Casa Bernotti la Officina della Zecca’.
Vorrei però ricordare che questa trattazione sulle monete di Piombino dello stesso Zanetti fa parte di una grande dedica dell’intero volume all’eminentissimo e reverendissimo Principe Cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi dei principi di Piombino eccetera eccetera. Benché lo Zanetti fosse uno studioso di grande serietà, il fatto di aver inserito questa nota in chiusura della sua trattazione sulle monete di Piombino (posta in apertura al volume e da lui redatta) può lasciar pensare a una lieve sfumatura di ostentazione nell’enfasi elogiativa.
Nel 1987 il comune di Piombino ospitò una mostra sulle monete di Piombino dagli Etruschi ad Elisa Baciocchi. Nel capitolo del catalogo sulla monetazione degli Appiano e Ludovisi, Luigi Tondo riferiva in nota della possibile esistenza di tutte le suddette sedi di zecca, dicendole desunte da Zanetti ‘secondo una tradizione non fondata su documenti ma registrata opportunamente’ dallo stesso, e base di tutti gli autori successivi. Ora ci si conferma che i documenti non ci sono; c’è un edificio e su questo possiamo soffermarci:
è un ipogeo e quando vidi la planimetria, avendo studiato etruscologia ai primi anni di università, ho pensato subito a una tomba etrusca. È un luogo sotterraneo senza aria, acqua e quindi senza fuoco. Potremmo ipotizzare che i principi avessero voluto utilizzare quella tomba etrusca preesistente come deposito di metallo, ma l’ipotesi mi sembra davvero poco credibile se poi l’officina doveva essere altrove e il trasporto avrebbe dovuto essere gestito con molti rischi e costi. Perché mai avrebbero fatto questa delocalizzazione per una monetazione che non era veramente così cospicua, affrontando i costi dei viaggi, dei trasporti e del controllo del personale? I nostri antenati erano molto più intelligenti e pratici di quanto si possa pensare, e non meritano che gli si attribuiscano imprese fantasiose.
Mi piacerebbe molto visitare Marciana e l’ipogeo perché potrei farmi un’idea del sito. Certo mi piacerebbe poter avere un confronto aperto su temi storici, e mi auguro che anche nel caso della presunta zecca di Marciana si possa arrivare a una soluzione che non tolga importanza alla storia locale e che però non prenda in giro la storia delle zecche”.
Conclusioni – L’intervista potrebbe concludersi con il sicuro risultato di aver fatto chiarezza che l’ipogeo di Marciana non può essere una zecca. Infatti, se la Prof.ssa Lucia Travaini, una delle massime autorità di sedi di zecche, esprime un parere motivato sulla mancata autenticità di un luogo di coniazione – in questo caso Marciana – sarà poco verosimile che qualcuno sappia controbattere razionalmente le sue affermazioni.