Roma. Quartiere Esquilino. Domenica 4 Maggio si è tenuta la festa del Vaisakhi da parte della comunità Sikh,una dei gruppi migranti più numerosi in tutta Italia. La loro immigrazione è iniziata specialmente al nord, in Reggio Emilia in particolare, come braccianti e allevatori. Questo perché provengono da uno Stato indiano nord-occidentale, il Punjab, prettamente agricolo, che vive prevalentemente di agricoltura e di pastorizia.
Dati statistici hanno confermato che la loro presenza in Italia da molto anni ha favorito l’allevamento e l’agricoltura da nord a sud Italia. Al nord ormai ci sono le nuove generazione nate e cresciute qui che continuano a portare avanti le proprie tradizioni, ma che credono davvero in un futuro di vera integrazione in Italia.
In particolare la Sikh Sewa Society, un’organizzazione composta da varie generazioni di Sikh, nata a Novellara, si mette a servizio della comunità, e attraverso pubblicazioni di libri ed eventi culturali, cerca di far conoscere agli italiani la propria cultura, affinché attraverso la conoscenza possa esserci una futura e reciproca convivenza e collaborazione.
Nel Lazio attualmente i Sikh sono circa 30 mila, sebbene sia ancora difficile stabilire un numero ben preciso. Lavorano nei campi fuori Roma, verso la provincia di Latina, in nero spesso anche 12 o 14 ore al giorno. Negli ultimi anni anche la comunità del centro Italia è riuscita in parte ad avere un supporto economico adeguato per richiedere i ricongiungimenti familiari e a portare qui le proprie famiglie. Queste donne, spesso anche molto giovani, però, abitando nelle campagne, non riescono bene ad integrarsi nella società e rimangono molto legate alla vita casalinga per via della non-conoscenza della lingua italiana, solitamente infatti le loro abitazioni sono lontane dai centri abitati e altrettanto difficili sono gli spostamenti.
La comunità Sikh di Roma ormai da diversi anni organizza all’interno del quartiere Esquilino la celebrazione religiosa del Vaisakhi, ovvero la commemorazione del giorno dell’apparizione di uno dei dieci Guru (maestri), ma anche per ricordare altri avvenimenti importanti della fede Sikh.
Il 4 maggio il parco di Piazza Vittorio dalle 11 del mattino è già colmo di uomini con il turbante, bambini vestiti a festa e donne con abiti tradizionali. Un palco ospita il ministro del culto, il Baba Ji, seduto dietro al Libro Sacro del primo Guru, il Guru Granth Sahib Ji, fulcro del Credo.
Durante la mattinata si alternano inni a canti sacri che ricordano anche la Storia del popolo guerriero Sikh, gruppi di persone invece offrono a tutti i presenti cibo tipico in segno di condivisione e fratellanza, senza differenza di religione o etnia. Unica regola sarebbe per rispetto togliersi le scarpe e mettersi seduti a terra e mangiare su dei teli messi per l’occasione nel parco, ma oggi tutto è diverso, gli stessi Sikh servono agli italiani i piatti anche in piedi. Questo è tipico in tutti i gurudwara, i luoghi sacri dei Sikh, dove la domenica dopo le cerimonie viene offerta la colazione e il pranzo a centinaia di persone.
Ad un certo punto dopo le varie preghiere il Libro Sacro viene messo su di un carro pieno di fiori e s’incomincia il Nagarkirtan, ovvero “il canto di inni sacri tra le vie della città”, una vera e propria processione, con circa 3 mila persone. Le strade vengono pulite prima dell’arrivo del carro contenente il Libro e migliaia di fedeli cantano inni al Guru.
Nel frattempo tantissimi giovani di nuove generazioni distribuivano testi in lingua italiana dal titolo: “Nagarkirtan e Gurudwara”, in lingua italiana, a chiunque volesse conoscere qualcosa in più sulla loro cultura.
Tanti erano gli italiani, stranieri di varie origini e turisti presenti che seguivano questa numerosa carovana religiosa incuriositi e con la voglia di fotografare ogni piccolo dettaglio.
Sono davvero una comunità molto aperta e ben integrata, sebbene ancora non sia stato possibile fare l’accordo d’intesa con lo Stato Italiano. Una delle motivazioni sarebbe per il kirpan, un coltello più o meno grande, in ricordo del popolo guerriero di appartenenza, che ogni fedele, dopo l’Amrit, una sorta di battesimo, dovrebbe portare sempre con sé e che ahimè per la Legge è un’arma a tutti gli effetti. Numerosi sono i tentativi di mediazione culturale da parte delle nuove generazioni e dei mediatori culturali affinché sia possibile indossare il turbante anche a lavoro, senza pregiudizi, e portare con sé anche un piccolo simbolico kirpan, cosa già possibile da molti anni in altri Paesi come la Gran Bretagna.
La società sta cambiando, e l’invito è quello di partecipare alle prossime celebrazioni che avverranno in tutta Italia, la prossima ancora più grande sarà domenica 25 maggio a Terracina.
Concludo con una frase della Sikh Sewa Society e con un invito a conoscere le nuove culture che convivono nel nostro Paese da tempo ormai:
“più si conosce e più ci si accorge di non conoscere”
di Katiuscia Carnà
a cura di silviabuffo