«Le donne, nel mondo, guadagnano in media il 22% in meno dei maschi, una discriminazione salariale che diviene un fatto sociale e che riguarda tutte le fasce di età, qualifiche e tipi di lavoro. Un’accusa questa che arriva dalla consigliera Onu per lo sviluppo, Anuradha Seth.
Un divario che per essere colmato avrà bisogno dei prossimi 70 anni e che possiamo considerare una vera e propria rapina ai danni delle sole donne, perché è a queste e solo a queste che viene sottratto qualcosa di proprio. L’organizzazione internazionale del lavoro conferma che, ad oggi, le donne che lavorano sono il 49,6% mentre gli uomini il 76,1%. Insomma, a noi donne viene tolto anche quello che appartiene a chi non possiede nulla, cioè il frutto della propria capacità di lavoro. Secondo una stima del l’Onu, per ogni dollaro guadagnato da un uomo, la donna guadagna 77 centesimi, disparità salariali che si trovano eguali in tutto il mondo.
Questa discriminazione aumenta ogni qual volta la donna mette al mondo un figlio con una perdita in media del 4% dello stipendio, mentre al padre, per ogni figlio, il reddito aumenta in media del 6%. Parlare di sistema di potere che produce sfruttamento ai danni delle donne è, allora, la prima cosa che va riconosciuta per creare una consapevolezza sociale e collettiva, non dimenticando che anche questi atteggiamenti avvalorano le molestie e le forme di intimidazione usate contro le donne a qualsiasi latitudine.
E pensare che in 93 paesi del mondo, compresa l’Italia, i livelli d’istruzione delle donne sono uguali e spesso superiori agli uomini, un dato quest’ultimo che urla forte anche nella provincia frusinate.
Al suono di “#RomeRises” sosteniamo anche noi che questo è il momento. Il momento per raccontare, per scambiare esperienze, per denunciare in convergenza con il movimento #MeToo che si pone come una cartina di tornasole nella discussione pubblica italiana, con la tenace convinzione che le intenzioni di parlare di una donna si ritrovano nel coraggio delle lotte comuni a partire da quelle più squisitamente politiche. Sì, perché è proprio qui, nella vita politica del Paese, che attualmente si trovano sempre più donne costrette a dover rinunciare ad un proprio serio percorso di successo in quanto potranno beneficiarne solo se sottoposte al “giudizio incondizionato” di un maschio di potere ed alle sue avances sessuate o pseudo tali. Questa l’ulteriore scommessa.
E allora, assieme al “mondo donna” dello spettacolo, si risveglino il coraggio e l’onestà anche del “mondo donna” della politica. Manifestare contro la castrazione politica impostaci solo perché tenacemente ci si nega ad una, se pur fugace e volitiva volontà del maschio di potere di turno che può e decide della sorte e della carriera politica di una donna, ci pare il minimo da fare in questa fittizia e clonata campagna elettorale».
Giuseppina Bonaviri