«Pietra lavorata dappertutto e trattavasi di un granito così duro che la sera essi avevano braccia e mani intormentiti e gonfi per lo strapazzo», cosi’ scriveva Lodovico Zanini, scrittore autodidatta di San Daniele ed emigrante lui stesso, in merito al fenomeno dell’ emigrazione friulana che ha origini lontane . Già a partire dal ‘700 infatti, e nella seconda metà dell’800 sino alla seconda metà del XX secolo, molti furono coloro , che per drammatica necessità e per sfuggire alla miseria , dovettero lasciare il focolare domestico “ il fogôlar”, alla ricerca di fortuna all’estero . Tanti emigrarono verso l’Europa centrale e orientale , ed i più temerari, verso terre ancor più lontane, come l’America, il Canada, l’Argentina e l’Australia. Erano boscaioli, teleferisti, terrazzieri, piastrellisti, muratori, carpentieri, tagliapietre e scalpellini, e tra questi, anche Luigi Del Bianco di Meduno, classe 1892, che a soli sedici anni, si trasferì a Port Chester nello stato di New York. Originario di Meduno, nel pordenonese, nacque a bordo di una nave ormeggiata al porto di Le Havre, mentre i genitori facevano rientro in patria, dopo un viaggio a New York. In Friuli , terra difficile, e non sempre generosa coi suoi abitanti , Luigi trascorse l’infanzia e la prima giovinezza , e rimase a Meduno , nella borgata del Bianco sino all’età di 11 anni, quando dovette emigrare prima a Vienna e poi a Venezia , come apprendista scalpellino, e nel 1908 raggiunse gli Stati Uniti d’America, dove iniziò a lavorare come tagliapietre a Barre nel Vermont.
Uomo fiero e coraggioso , come molti altri friulani che non si arresero alla povertà, ebbe una vita non semplice e , tra le molte difficoltà , lavorò a capo chino, sino allo scoppio della prima guerra mondiale, quando ,volontariamente, fece rientro in patria per combattere per il proprio Paese, per poi riattraversare l’Atlantico e rientrare a Chester, dove convolò a giuste nozze con la connazionale Nicoletta Cardarelli, dalla quale ebbe 5 figli. : Teresa, Silvio, Vincenzo, Cesare e Gloria. Negli anni ’20 iniziò a collaborare, seppur in modo non continuativo, con lo scultore Gutzon Borglum nel suo studio nel Connecticut, e quando, a quest’ultimo, furono affidati i lavori per il gigantesco complesso scultoreo del Monte Rushmore nelle Black Hills, Borglum decise di avvalersi delle capacità scultoree di Del Bianco, che nel 1933, nominò capo- scultore del progetto , dichiarando : « He is worth any 3 men, I can find in America, for this partucular project» ( ..egli ha il valore di 3 uomini che io posso trovare in America, per questo tipo di lavoro..). Come scrive lo studioso Michele Bernaron nel suo libro “Scalpellini e tagliapietre dal Friuli Occidentale nel mondo”: « Mount Rushmore, una delle più colossali opere d’arte al mondo, raffigura i volti dei quattro presidenti americani : George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosvelt e Abraham Lincoln.E’ stata realizzata asportando 450.000 t. di granito, ( per il 90% fatto saltare usando la dinamite) dalla catena montuosa delle Black Hills, nello Stato del South Dakota a oltre 1500 metri sul livello del mare. Le dimensioni sono impressionanti: il Monumento è alto 150 metri, ogni volto è alto 18 metri, il naso è lungo 6 metri e gli occhi sono larghi 3 metri. Dal 1927 al 1941 lavorarono circa 400 operai tra minatori, trapanatori, scalpellini ecc..[…].. Meno noto, almeno sino agli anni ’80, è che il capo scultore che curò personalmente le parti più critiche del grandioso Monumento era un friulano, Luigi Del Bianco, originario di Meduno.»
Del Bianco si occupò personalmente dell’occhio sinistro del volto del presidente Lincoln , e dei lineamenti di Jefferson. Cesare, il quarto dei 5 figli dello scultore, è stato quello che ha voluto rendere la “giusta” notorietà al padre Luigi, che dal 1933 al 1941 lavorò in modo assiduo al Monte Rushmore. Tra le prime menzioni quella di Gilbert Fite nel suo libro Mount Rushmore del 1952 , che a proposito di Del Bianco scrisse : «one of the most competent men ever to work on the monument» ( ..uno degli uomini più competenti che abbiano mai lavorato alla montagna), ma Cesare non pago di tale riconoscimento , con grande caparbietà fece numerosi viaggi a Washington alla ricerca di documenti e lettere, molte delle quali dello scultore Borglum , sino a quando riuscì finalmente a far conoscere al mondo intero il ruolo fondamentale svolto da suo padre nella realizzazione del complesso monumentale del Monte Rushmore.
Come indicato da Michele Bernardon nel suo libro : «il 3 luglio 1991, in occasione del 50esimo anniversario dell’inaugurazione del Monumento, Luigi del Bianco ricevette, seppur tardivamente , il meritato riconoscimento : un annullo postale emesso per l’occasione dalle poste americane in cui il suo nome e la sua foto compaiono in primo piano». Successivamente, e questa è storia recente, il 16 settembre 2017 , un altro omaggio postumo allo scalpellino friulano, con una doppia cerimonia ufficiale sia a Meduno che nel South Dakota, che ha sancito ufficialmente il riconoscimento di Del Bianco come il principale scultore dell’opera sul monte Rushmore.
E …. dall’America alla Germania, grazie ad un altro friulano – Silvano Bertolin, classe 1938, i fregi dell’ altare di Pergamo sono tornati al loro antico splendore. Nativo di S.Giovanni di Casarsa, dopo gli studi nella Scuola d’Arte e Mosaico di Spilimbergo, ando’ in Germania, e da lì iniziò la sua lunga carriera professionale nel mondo dell’arte antica.
Alla mia domanda su come sia nata la sua passione per il restauro , ha semplicemente risposto : «Il mio lavoro è nato per puro caso, quando l’8 aprile del 1962,. incontrai fortuitamente, il direttore della Glyptothek di Monaco di Baviera -Dieter Ohly -, che mi chiese se ero interessato a lavorare con lui. Dopo pochi mesi di collaborazione fui nominato restauratore capo.». Bertolin ha eseguito restauri in tutto il mondo, e tra questi anche quello dell’Altare di Pergamo;. un imponente complesso tra i più spettacolari dell’epoca ellenistica , trasferito dall’Asia minore in Germania, al Pergamonmuseum di Berlin, con l’autorizzazione del sultano Abdul Hamid II, grazie al ritrovamento di Carl Human tra il 1866 e il ’78. Si tratta di un’opera dedicata a Zeus e Atena per rappresentare la vittoria degli Attalidi sui Galati alle sorgenti del Caico, un’impresa molto impegnativa: « I restauri dell’altare di Pergamo, sono durati 10 anni, dal 1994 al 2004, l’intera opera e’ stata smontata completamente, e sono state necessarie 64.000 ore per ultimare il lavoro. E’ stata un’impresa immensa e molto faticosa, anche fisicamente. Stiamo parlando di un fregio di 120 metri, 117 lastre, per un peso di 150 tonnellate, ed ho potuto realizzare questo restauro eccezionale, anche grazie alla mia squadra di lavoro. Voglio ricordare moglie Ludimilla della Baviera e Alberto Fiorin , che è qui con noi oggi» così ha dichiarato il maestro del restauro durante un nostro recente incontro del 3 giugno scorso.
Legato alla sua terra natia , Silvano Bertolin vive tra Monaco di Baviera a San Giovanni di Casarsa, dove ha realizzato un laboratorio di restauro , e dove ha ricostruito il colossale gruppo della Scilla che attacca la nave di Ulisse, e quello dell’accecamento di Polifemo , originariamente nelle grotte di Tiberio a Sperlonga. I lavori da lui eseguiti sono innumerevoli. Oltre che nei principali musei della Germania, è stato attivo anche al Museo delle Antichità di Basilea, al Prado, al Paul Getty Museum di Los Angeles, al Louvre, ai Musei Vaticani, ed in molti altri ancora, con grande tenacia e determinazione. Il prossimo 12 settembre Silvano spegnerà 80 candeline, ma non ha alcuna intenzione di fermarsi, tant’è che durante il nostro incontro ha dichiarato: « Mio papà faceva il sarto ed ha lavorato sino 86 anni, ed io, se tutto va bene, vorrei superarlo».
Luigi Del Bianco e Silvano Bertolin, due friulani modello, di generazioni diverse, emigrati in paesi lontani, ma accomunati da quello spirito sano ed orgoglioso del fare , e la capacità di andare oltre qualsiasi difficoltà. Entrambi hanno però saputo conservare intimamente un forte legame con le proprie radici e la propria terra natia, accomunati dalla “ nostalgia “ di voler tornare un giorno. .Un sentimento questo, che fa pensare a Lucia Mondella dei Promessi sposi ed al suo addio al paesello alla fine dell’ottavo capitolo : «Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo…[..]Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! …[..]… e pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia ..[..].. che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.».
di Daniela Paties Montagner