Proveniente da una famiglia benestante di religione ebraica, Brian Epstein non si è certo distinto nella sua vita per aver brillato di iniziativa. Una formazione scolastica irregolare durante la quale cambiò sette istituti a causa dei risultati deludenti; una parentesi come venditore nel negozio di mobili della sua famiglia e, dopo il servizio militare con congedo anticipato, lo studio alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra. Abbandonata l’accademia al terzo trimestre, fu mandato da suo padre a lavorare nel nuovo negozio di dischi NEMS a Liverpool.
È qui che, forse, comincia a distinguersi per il fiuto che dimostrerà di possedere nello scoprire, e mettere sotto contratto, la band che diventerà una delle più famose di tutti i tempi e cambierà per sempre il destino della musica.
Incuriosito dalle continue richieste dei clienti del negozio riguardanti il 45 giri di un gruppo di Liverpool e non riuscendo a procurarselo, decise rivolgersi direttamente ai diretti interessati. Il titolo del disco era My Bonnie e i quattro musicisti in questione erano conosciuti col nome di The Beat Brothers, ma sarebbero diventati famosi con un altro nome: i Beatles.
Una sera dell’ottobre 1961 Epstein andò al Cavern Club, locale dove si esibivano, per incontrarli e fu così colpito dalla loro performance che, dopo una chiacchierata con loro nel camerino, parlottando con il suo collaboratore Alistair Taylor, pensò di diventare il loro manager. Firmarono un contratto qualche mese dopo. Fu uno degli accordi più strani (e meno legali) della storia della musica: Epstein lo lasciò in bianco, riservandosi di siglarlo in seguito, e due delle firme non erano valide: McCartney e Harrison infatti, nel 1962 erano minorenni.
Fu Brian Epstein a consigliare ai quattro di cambiare look, passando dai jeans e i giubbotti di pelle degli esordi a un aspetto più ‘rassicurante’ in giacca e pantaloni. Così come fu sempre il loro manager a sfruttare le sue conoscenze per arrivare alla Parlophone e al produttore George Martin. Nonostante i successivi disastri in termini di date, pagamenti (inizialmente i Beatles guadagnavano pochissimo dalle vendite) e merchandising, Epstein fu fondamentale per far conoscere i Fab-Four e per gestirne le intemperanze da ragazzi di provincia.
Del rapporto tra i Beatles e ‘Eppy‘, il quinto Beatle (così lo chiamavano amichevolmente i Beatles), si sono scritte molte cose. Soprattutto sul suo legame con John Lennon. Epstein era innamorato di John e la leggenda dei loro quattro giorni trascorsi in Spagna nel 1963 fu successivamente smentita sempre in modo ambiguo. Il sodalizio tra la band e il manager si interruppe quando i quattro decisero di non suonare più dal vivo. I Beatles erano diventati qualcosa che Epstein faticava a gestire, nonostante l’entusiasmo e la buona volontà; il gioco d’azzardo, l’omosessualità faticosamente nascosta e l’abuso di droghe poi non lo aiutavano ad avere il temperamento necessario per essere il manager del gruppo.
Brian Epstein morì quattro anni dopo, il 27 agosto 1967, a causa di un’overdose da Carbatrol (un forte antidepressivo, usato anche per trattare l’epilessia), dopo ben due tentativi di suicidio. Ciò nonostante neanche la sua morte fu risparmiata dai gossip. Si vociferò infatti che fosse stato ucciso per ragioni economiche (i debiti contratti in seguito al fallimento della Seltaeb), teoria avvalorata da alcune telefonate minatorie e dal suicidio sospetto di un ex avvocato della società. Tralasciando però i pettegolezzi e le dicerie, quello che interessa è un’altra storia: quella di un giovane ambizioso e incosciente che sceglie di seguire la vita di quattro ragazzi, poco più che adolescenti, per trasformarli in mito.
ALEX PIERRO