Le mani incrociate e gli occhi fissi a terra. L’ultimo fermo immagine che arriva dalla Diciotti è quello di una preghiera. Molti dei 177 migranti a bordo pregano perché il limbo a cui sono sottoposti da giorni abbia fine. Pregano perché la notte non cali ancora e perché il buio dell’indifferenza politica non li trascini via con sé. Il cielo stellato, anche oggi, è sopra di loro ma la legge morale dell’Europa, quella, chissà dov’è finita.
“Tutto è bene quel che finisce bene” – c’era stata ragione di credere lo scorso 19 Agosto, quando il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli aveva reso noto, tramite un tweet, il via libera per l’approdo della Nave Diciotti nel porto di Catania. Ma il verdetto definitivo, rigorosamente via social, del Ministro dell’Interno Matteo Salvini è arrivato poco dopo e non ha lasciato adito a dubbi: «O l’Europa inizia a fare sul serio difendendo i suoi confini e ricollocando gli immigrati, oppure inizieremo a riportarli nei porti da dove sono partiti». E Toninelli, con l’ennesimo tweet, ha sottoscritto la decisione di Salvini: «ora l’Europa faccia in fretta la sua parte». Per il momento il Viminale mantiene lo stallo in attesa che i 27 paesi europei diano la loro disponibilità per un’equa suddivisione delle quote di migranti.
Nel frattempo si riaccende lo scontro con Malta. Secondo quanto dichiarato da alcuni migranti, il primo soccorso ricevuto sarebbe stato da parte di una nave maltese che avrebbe scortato l’imbarcazione fino a Lampedusa ma invertito la rotta 24 ore dopo, abbandonando i migranti che sono stati tratti in salvo dalla Diciotti, nave della Guardia costiera italiana. Testimonianze queste, che hanno reso necessario l’avvio di un’inchiesta: oltre all’individuazione di scafisti e/o soggetti coinvolti nel reato di immigrazione clandestina, la Procura vuole conoscere le condizioni dei 177 passeggeri a bordo.
La risposta delle associazioni antirazziste catanesi non si è fatta attendere: “Stop the attack on the refugees” recita lo striscione appeso di fronte al porto di Catania. Dalla loro parte Medici Senza Frontiere che twitta:” il nostro team è in attesa di fornire primo soccorso psicologico alle persone soccorse dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, da giorni in mare. Chiediamo alle autorità italiane di autorizzare lo sbarco e fare in modo che accedano alle cure di cui hanno bisogno”. E Amnesty Italia nella sua pagine ufficiale domanda: “quanto ancora dovranno attendere?”. E la durata, in questa storia, non è di certo un dettaglio da poco. Il Garante detenuti in una lettera al Ministero dell’Interno ha espresso viva preoccupazione per tale condizione di stasi che, se protratta ulteriormente, sancirebbe la violazione dell’Art. 13 della Costituzione sulla libertà personale (“In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”) e dell’Art.5 della Convenzione europea dei dritti dell’Uomo (CEDU), oltre all’Art.3 della stessa: “nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani e degradanti”. Un ulteriore nodo da sciogliere è il mancato avvio della procedura d’asilo, in contrasto evidente con la Convenzione di Ginevra e il diritto comunitario. Nonostante ciò c’è chi, come Bertolaso a La7, minimizza il danno affermando che i migranti “stanno meglio sulla Diciotti che in Africa, dal momento che qui sono coccolati dalla Guardia Costiera”.
Indipendentemente dalla piega che prenderà, la questione della Diciotti porta fin d’ora a galla numerose osservazioni e contraddizioni. La prima tra tutte è che il principio di volontarietà, espresso nell’accordo Ue e decretato positivamente dal neo premier Conte, come segno della ritrovata centralità dell’Italia tra gli interlocutori europei, fa acqua da tutte le parti. L’attuazione concreta di questo principio lascia spazio a un cinico gioco dove vince chi scarica più rapidamente le responsabilità e i doveri sul prossimo. Fa prevalere il sovranismo, non certo la sovranità che è esercitata nelle forme e nei vincoli della Costituzione e di conseguenza, anche nel rispetto delle norme sovranazionali.
In secondo luogo, dimostra che la linea del pugno duro, prevedibilmente non digeribile dagli altri paesi, è l’alibi che Matteo Salvini mette in campo per giustificare un allineamento sempre più palese con i paesi del gruppo di Visegrad, più volte sottrattisi agli obblighi dell’accoglienza di profughi. Se c’è qualcuno che di tale situazione di stallo potrà giovare in futuro, questo è proprio Salvini che grazie alla “guerra quotidiana al nemico di turno”, l’Europa in primis, replicherà alle Europee il successo incassato alle politiche, causando un’ulteriore emorragia di voti per i partiti più europeisti.