L’Associazione Donne per la Sicurezza Onlus giovedì 18 ottobre 2018 dalle ore 17:30 alle 20:00 in Via Bartolo Longo angolo Via Majetti, sede del Carcere Circondariale di Rebibbia, ha organizzato un sit in con fiaccolata in memoria dei due piccoli bambini morti per mano della loro mamma Alice Sebesta, ivi detenuta. L’ente chiede il sostegno e la collaborazione anche organizzativa di tutte le Associazioni e delle persone che vorranno unirsi.
La tragedia occorsa all’interno della sezione nido del carcere di Rebibbia, ove una madre ha ucciso i propri figli, un neonato di sette mesi e un bambino di 2 anni, non può provocare solo un giustificato senso di sdegno e impotenza, con i consueti processi ex post facto, ma deve e può costituire, per una volta, l’avvio di un percorso nuovo e diverso che non metta più a repentaglio la vita di minori innocenti, garantendo, al tempo stesso un corretto e doveroso esercizio della giustizia, con una ferma richiesta di VERITA’ E RESPONSABILITA’ per questi fatti.
Rammentiamo come, con la legge n. 62 del 21 aprile 2011 sia stato introdotto l’art. 285 bis del codice di procedura penale, il quale prevede che qualora la persona da sottoporre a custodia cautelare in carcere, sia rappresentata da donna incinta o madre di prole di età non superiore ai sei anni, il giudice ne può disporre la tutela presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM).
Tuttavia nelle disposizioni attuative si stabilì che tale norma avrebbe dovuto trovare applicazione solo partendo dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, al quale, di fatto, non si è mai data concreta e fattiva realizzazione. Risultato: a oggi, 25 settembre 2018, esiste nel territorio del Comune di Roma una sola struttura di questo tipo attiva. Solo una.
La magistratura non può dunque utilizzare tutti gli strumenti previsti d e per capienza, oltre a costituire, in molti casi, esempi di fatiscenza e inadeguatezza che trasformano la detenzione in una forma di tortura strisciante. L’organico degli stessi è insufficiente, mentre mancano idonei supporti terapeutici rispetto alle problematiche individuali. E’ precisamente per questo motivo che le sofferenze psichiche non possono trovare adeguata cura in carcere: già che, del resto, i rapporti annuali di suicidi negli istituti di pena, sono esponenzialmente in aumento.
Resta il fatto, inaudito e drammatico: due bambini innocenti sono morti dietro le sbarre del carcere. Di là delle responsabilità della madre e degli eventuali organi di sorveglianza che non abbia adottato le cautele richieste dal caso – aspetti su cui certamente la Procura di Roma darà risposte – questa tragedia deve costituire lo spunto per una riflessione più generale sullo stato della giustizia in Italia.
Mentre è giusto ascoltare il grido che si alza dal paese reale circa la mancanza di idonei strumenti di prevenzione e repressione contro una criminalità che si percepisce come sempre più diffusa, al tempo stesso il sistema e gli istituti che regolano l’apparato penitenziario devono essere sottoposti a una radicale revisione che contemperi l’esigenza di far scontare una pena certa e sicura, con quella dell’umanità e della pietas verso il recluso. Qualcuno ha detto che il grado di civilizzazione di una società si misura dallo stato delle sue carceri. Non sappiamo se sia questo il criterio più importante di giudizio di un paese: se lo è, l’Italia ha bisogno di cambiare e in fretta.