Roma, un raffinato ed originale monologo ha affascinato il pubblico del Brancaccino, sempre in cerca di forti emozioni. In una cornice minimalista, sapientemente orchestrata in chiave onirica, si sviluppa la drammaticita’ del pensiero della protagonista,”Lady Machbeth”, sul non essere piu’ in sintonia con il suo uomo; pur avendo condiviso tante scelte, ora gli appare come un nemico, un male da allontanare, un ossessione da cancellare, anche a costo della sua stessa vita .Meglio morire suicida che continuare a vivere cosi: ecco il tocco shakesperiano emerge nell’ analizzare a fondo la complessità umana e l’ imprevedibilita’ delle reazioni ad ogni singola azione.
Nulla e’ scontato , quella che andava bene in passato non e’ detto che andrà bene per il futuro , la fine dell’ amore è li,’ in agguato, camuffata da malumori e crisi, fino ad assistere, inermi, a una lenta agonia, il cui epilogo sembra ineluttabile : il suicidio e’ l’ unica soluzione per un dolore che si e’ perso in un vicolo cieco.
L’ opera, scritta e diretta da Michele De vita Conti, ha trovato vita nella forza espressiva della giovane Maria Alberta Navello.
A seguire comunicato stampa “Quello tra Lady Macbeth e suo marito è l’unico matrimonio davvero funzionante in Shakespeare, dice con ragione molta della critica ufficiale. Un’unione fatta di amore, ambizione, attrazione e certamente, complicità. Fino ad un certo punto, fino a quando lei, come potrebbe capitare e capita in molti matrimoni, non vede un lato di lui che la delude profondamente. Fino a quando Shakespeare smette di mostrarceli in scena assieme. Fino a quando lei si suicida.
1. La protagonista spiega e analizza con macabra ironia tutto questo ed altro, come una ricercatrice di laboratorio, costretta in una sorta di limbo, forse quello cui sono condannati i suicidi, dove rivive la sua storia d’amore e la scompone per il pubblico. Lo fa in modo crudo e crudele. Prima di tutto con sé stessa.
Più che scene da un matrimonio, autopsia di un matrimonio.
Dopo aver provato a far rivivere Orson Welles, Mia Martini e Poe, Michele De Vita Conti propone ora un esperimento un po’ differente con un arcinoto personaggio shakespeariano, trattandolo come fosse realmente esistito. In fondo, pensiamo, i personaggi di Shakespeare sono talmente radicati nel nostro immaginario e nella nostra cultura che non è troppo azzardato dire che sono, a tutti gli effetti, parte della nostra storia”.Francesca Palumbo