Corte di Appello di Catanzaro. Due dicembre 2014. Ore 14.30 circa. Qual è il verdetto sul VillellaGate? Nessuno. Colpa della burocrazia. L’ultima decisione che doveva porre, una volta per tutte, la parola fine sull’interminabile caso del cranio del presunto brigante Villella, conteso tra l’Università di Torino e il Comitato Tecnico-Scientifico “No Lombroso”, non c’è stata. La Corte di Appello di Catanzaro ha rinviato al 5 aprile 2016 il giudizio d’appello per la controversia. All’udienza, a sostegno del Villella, erano presenti oltre all’avvocato, membri del Comitato Scientifico NoLombroso. In aula non mancavano paladini a favore del museo.
Troppo lungo il rinvio per riportare Giuseppe Villella al Comune di Motta Santa Lucia (CZ).
I magistrati avrebbero dovuto risolvere nella seduta di un giorno ben 111 appelli, e quello in questione, era il fascicolo 58esimo. Il punto di svolta tanto atteso non è arrivato. Niente di fatto. La disputa non è sanata.
Il fondatore del Comitato “No Lombroso”, dr. Domenico Iannantuoni, su ArticoloTre, ha dichiarato:”Mi rendo conto delle difficoltà operative della Corte e accettiamo il lungo rinvio del “giudizio”, pur restandone costernati. Infatti tutti noi, oltre settemila del Comitato, e più di 120 Città di tutta Italia in qualità di testimonial, attendevamo con ansia la conclusione di questa triste vicenda, ovviamente nella logica dell’affermazione dell’Ordinanza di Primo Grado del giudice Gustavo Danise che ci ha visto primeggiare. E così sarà. Aspetteremo ancora per un anno e cinque mesi, il tempo del rinvio, non certo inattivi…”.
Più di un anno fa, ci eravamo lasciati speranzosi sulle pagine del quotidiano Ore12, edizione del 24-25 marzo del 2013, dandoci appuntamento alla data del dictum che avrebbe concluso l’insano conflitto. Così non è stato.
Breve parentesi d’obbligo. Per le tappe del lungo cammino padre di malizia, critiche, polemiche e massacro di memoria, si rimanda l’interessato lettore al chiaro monitoraggio degli episodi riassunti nel suddetto articolo, pubblicato in occasione delle celebrazioni per l’anniversario dei 152 anni dell’Unità d’Italia, “giornata promuovente i valori legati all’identità nazionale”. Una cronanalisi, sia dell’evento in se, mentre in sottofondo riecheggiano, attualissime, le parole del messaggio di augurio del Presidente Giorgio Napolitano (:“Ritroviamo insieme orgoglio, fiducia e l’unità necessaria. Siamo oggi noi italiani, di nuovo in un momento difficile e duro, per l’economia che non cresce, per la disoccupazione che aumenta e dilaga tra i giovani, per il Mezzogiorno che resta indietro…Ritroviamo il senso dell’Unità necessaria…volontà di riscatto, voglia di fare e stare insieme nell’interesse generale, senza perdere spirito costruttivo e senso di responsabilità”); sia dell’amletica vicenda del presunto brigante calabrese, Giuseppe Villella, e la battaglia per il suo teschio, detenuto nel Museo Storico di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” di Torino e richiesto a gran voce dal paese di origine Motta Santa Lucia; sia il tema della dibattuta Questione Meridionale, attraverso il romanzo “Terroni” del giornalista Pino Aprile e l’omonimo spettacolo teatrale di e con Roberto D’Alessandro. Chiusa parentesi.
Screening contemporaneo. A quanto pare, spettacoli, manifestazioni, appelli accorati e numerose adesioni di associazioni, enti locali, comuni e personalità al Comitato NOLombroso, non hanno contribuito a smuovere l’inesauribile stato attuale delle cose. Dura lex, sed lex, verrebbe da pensare.
Questa ordinanza un po’ particolare da affrontare, farà ancora discutere. Non cambierà nulla allo scenario precedente. Sarà fonte di altra attesa che non stempererà animi ed attrito. Si continuerà a disquisire di Questione del Mezzogiorno e di perenne conflitto tra Scienza e Appartenenza. Saranno altri mesi di revival con il leitmotiv degli anni trascorsi: Affrancare Dignità, dal punto di vista umano e storico, non solo a Villella ma anche alla Gente Meridionale.
In questo bizzarro diario di viaggio, quasi una cronaca pasionaria di quella sofferenza intrinseca attraverso il confronto-scontro ricerca e studio vs appartenenza e dignità, cos’è preponderante? Certamente non passano sotto silenzio i limiti e le contraddizioni delle discipline accademiche del Lombroso e la cinica rivendicazione dei diritti e della necessità di rendere giustizia alle spoglie di un Uomo. Giuseppe Villella appunto.
Da documenti e carteggi del Lombroso, padre dell’antropologia criminale, e altri reperti fonte di ricerca di studiosi dei nostri giorni, ecco le notizie (e le stranezze!) che si scoprono sul presunto brigante calabrese: nacque nel 1795 (Iannantuoni e Cefalì 2014, Cap.V, p.2) e morì a 69 anni (16 agosto 1864 – Milicia 2014, pag.20; Iannantuoni e Cefalì 2014, Cap.V, pp. 14-5) nel carcere di Vigevano; Cesare Lombroso (palese e notevole incongruenza tra la data di morte e quella dell’autopsia!) all’alba del 4 gennaio 1870 (Milicia 2014, pag.46), nel suo laboratorio di Pavia, asserisce, che nel Villella, dopo averlo scoperchiato con il compasso scorsoio, ha rintracciato la famigerata “fossetta occipitale mediana” prova e dimostrazione della teoria del delinquente per nascita (confutata dalla comunità scientifica mondiale) – a ragione di ciò (?), il cranio continua ad essere esposto nel museo.
E a questo punto, cosa è successo? Metamorfosi, mutamento, transfer? Innegabilmente si è attivato un meccanismo, un processo. Attraverso Villella, che è l’ignara vittima di pregiudizi, si perpetua qualche stortura dell’automatismo sociale, economico e politico dell’Unità d’Italia. E’ così che, il cranio del defunto, diventa l’ideogramma che accomuna il suo destino alla Storia del Mezzogiorno. E’ così, che, il presunto brigante, si fa materia plastica e catalizzatore di emozioni e sentimenti meridionalisti.
Nella contesa storica, ma non unica, di cui siamo testimoni, via via si mettono in luce e si promettono una prospettiva di indagine e un percorso di ricerca per contemplare e raccontare una fragilità della scienza e un testo base dell’appartenenza. Non una semplice proiezione connessa ad uno schema emotivo bensì un contraccolpo alle infondate teorie del passato che non sia solo un gesto autocelebrativo. Un adattamento morale, non privo di qualche contaminazione, che metta nel cassetto quel ritmo sedimentato e non di evoluzione per culture e paesi diversi della stessa Patria. Dunque, ancora studio, ancora dialogo, ancora comprensione e ancora riscatto creati dall’inchiesta e dagli affetti sui generis di questo incredibile avvenimento.
In sintesi, questa situazione, è del tutto speciale, con caratteristiche proprie, non facilmente definibili ma al contempo non confondibili con altre, e va a inglobare storia, filosofia, ricerca, criminologia e quant’altro. Legami e congiunzioni a iosa. Gli stessi protagonisti, sostenitori e pubblico, si appropriano del volto culturale nuovo, fatto di semplicità e democrazia, valori, credenze e atteggiamenti, racchiuso in uno slang formativo prestante, rapido, alta espressione dell’Umanità e non di un popolo. Uno slang formativo sempre più foriero di quel senso di attinenza e di assimilazione al gruppo. Protagonisti, sostenitori e pubblico si incalzano in una tournée infinita per apportare, coinvolgere, supportare, ricalcare e amplificare quel sentimento di appartenenza forte, ancestrale e contagioso, quel codice misterioso già vivo in meridionalisti quali Colajanni, Salvemini e Fortunato che denunciarono a loro tempo le errate teorie del Lombroso.
Non più un brusio, ma urla sull’epoca del Risorgimento e sulla restituzione del cranio del martire Villella.
Sulla questione, nei mesi passati, era intervenuto anche il Ministero dei Beni Culturali, in risposta a un’interrogazione parlamentare, sottolineando che “non esistono agli atti del Museo di antropologia criminale di Torino documenti da cui risultino le modalità di acquisizione dei reperti”. Circostanza cui ha fatto riferimento anche il Comune calabrese di Motta Santa Lucia, appellandosi al codice etico dei musei che prevede, in relazione al tema dell’acquisizione delle collezioni, anche il ritiro dall’esposizione al pubblico, se non si documenta “la loro legittima provenienza”.
E, naturalmente, come in tutte le beghe che si rispettino, non sono mancate le voci di contraltare che con libri, tavole rotonde e convegni hanno cercato di inficiare, di sobillare e gettare fango su colui che è diventata l’icona dei soprusi della colonizzazione del Sud. Qual è la verità? E’ la vostra sicuramente. Quella che vi suggerisce la vostra coscienza e il vostro buon senso (“Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere”cit. G. Salvemini da Prefazione a Mussolini diplomatico, Éditions Contemporaines, Paris 1932; nuova edizione Laterza, Bari 1952).
Tra le istanze dei contendenti e le interrogazioni parlamentari, si moltiplicano le disamine sulle pratiche eugenetiche per depauperare definitivamente le teorie contestate, quelle relative al periodo dell’inizio dell’antropologia criminale, perché non suffragate scientificamente. Le ragioni non sono ragioni qualsiasi, sono quelle politiche e sociali riconducibili alla Carta di Nizza, la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. I risvolti, su piano etico e morale, saranno proiezioni su larga scala sia sulla figura del brigante sia sulla dottrina criminologica. Tante le iniziative che tornano sul caso del brigante calabrese e sulle problematiche ancora calde del brigantaggio postunitario quale fenomeno sociale, oggetto di diverse interpretazioni, e sull’oscuramento delle Regioni del Sud nell’Italia appena nata fino ai giorni nostri.
Ecco perché, la consequenziale richiesta alla giustizia sulle sorti dell’accaduto aveva avviato aspettative notevoli per redimere e non esperire. Inoltre – all’ombra della disposizione per la sospensione dell’obbligo di trasferimento e la tesi che la restituzione del cranio avrebbe “comportato lo smembramento della raccolta museale”- c’era stato, ed era apparso di buon auspicio, l’atto dell’ateneo piemontese di restituire alla Toscana il cranio di David Lazzaretti, il cosiddetto Messia dell’Amiata, ucciso dalla polizia nel 1878. Stessa identica sorte per il cranio dell’anarchico Passannante consegnato, invece, al museo criminologico di Roma e in seguito riposto nella cappella di famiglia a Salvia di Lucania, e il cranio di Gasbarrone da Sonnino (fonte: Romeo, Lamezia in strada del 07.12.2014).
Alla giustizia si era dato, con speranza, il delicato compito di mediatrice in questo raccapricciante duello, non solo mediatico, fra diritto e sete della scienza, da una parte, e sentimento di appartenenza e orgoglio del Popolo del Sud, dall’altra. Alla giustizia si era data, con fiducia, l’opportunità di passare un colpo di spugna su quello che la polizia etnica dei Savoia aveva riservato alle popolazioni meridionali (“Il governo piemontese che si vede presto costretto ad abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli. – L’Osservatore Romano, 1863–”).
Invece, niente epilogo. La degna sepoltura del povero Giuseppe Villella sarà ancora posticipata, sospesa dalla burocrazia. Di converso non saranno rimandate e dimenticate proteste e proposte. Sempre vivo, acceso e attuale sarà l’interesse sulla vicenda giudiziaria del cittadino di Motta Santa Lucia: essa custodisce nel suo esito la nuova visione culturale e quei pezzi mancanti del puzzle dell’Italianità non solo del Mezzogiorno ma di quella dell’intero Paese. M.A.Chimenti