I due fratelli Kouachi sono stati uccisi dalle forze speciali, a Dammartin-en-Goel, in Francia, alle 17.00, così come Amedy Coulibaly, il killer asserragliato nel negozio kosher a Parigi, alle 17.13. I tre, sono i terroristi autori della carneficina alla redazione del magazine satirico Charlie Hebdo diStephane Charbonnier, del 7 gennaio scorso alle 11.30, con 12 vittime. In tutti e due i blitz sono stati liberati gli ostaggi. Si sono conclusi in modo drammatico tre giorni di surreale terrore nel cuore dell’Europa.
Hollande, il Presidente francese, segue da subito tutte le operazioni:”I cittadini devono essere certi di essere coperti”.
Estemporanee manifestazioni di solidarietà e veglie organizzate nelle piazze delle città e in quelle virtuali hanno offuscato l’agenda dei media, di ogni istituzione e governo. ”Nous sommes Français!” ha detto Renzi, accorso all’Ambasciata Francese, appena avuta la notizia, con il ministro degli Esteri Gentiloni, per testimoniare la solidarietà dell’Italia all’Ambasciatrice Catherine Colonna. Ed Obama, con solennità:”E’ stato un attacco contro i giornalisti, contro la stampa. Hanno paura della libertà di espressione. Valori che non possono essere messi in discussione. Daremo tutta la disponibilità al popolo francese.” La libertà di stampa rappresenta uno dei pilastri portanti della nostra cultura, dell’Occidente. E’ stato un gesto vile e spregevole che non colpisce solo un giornale ma tutti gli uomini liberi. Papa Francesco interviene con “non si devono turbare tutte le persone che amano la pace”. Espressioni di condanna anche da Putin, dalla Merkel, da Cameron, da ogni angolo della Terra. Anche dall’Iran, dalla Lega Araba e Al Azhar.
Consenso e sostegno unanime in un clima di compostezza, di sospensione, di incredulità. Michele Serra, giornalista e scrittore, fa un appello a RaiNews24:”Mettete una matita nel taschino” e diventa il simbolo della tragedia, alzato verso il cielo, al suono degli slogan “senza la stampa non esiste democrazia” e “je suis Charlie”, nei luoghi in cui le persone si riuniscono pacificamente. Le copertine dei giornali pubblicano le vignette di Charlie. Nei social media gli hashtag si moltiplicano: #jesuisCharlie, #notinmyname dei musulmani che si dissociano dall’attentato, #prayersforparis del nostro Pontefice. Google è listato a lutto.
Il vaso di Pandora, di sorpresa, si è aperto all’Occidente, scagliando odio e aprendo gli occhi su scenari impensabili ma reali. Ecco l’improvvisa scoperta di un rischio che si era preferito allontanare e relegare al Medio Oriente, ma che invece era solo rimasto sopito, nascosto in frange di jihadismo autoctono. Ora che l’incognita si è manifestata non si può tornare a celare. Esistono soggetti politici che si automilitarizzano pronti a scatenare offensive in nome del fondamentalismo. Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, dal sit in di Piazza Farnese, dichiara:”Il problema è di tutti. Non è più nel Medio Oriente, c’è l’abbiamo in casa.”
Il macrofenomeno del fondamentalismo islamico è frutto dell’influenza che la crisi siriana ha sul mondo occidentale. Non solo perché la presenza delle milizie dell’ISIS nella regione mediorientale ha dato vita a un fenomeno del tutto simile a quello verificatosi negli anni 90’ fra Europa e Afghanistan. Alcune centinaia di cittadini europei, sono in Siria per combattere nelle fila dell’ISIS, si addestrano paramilitarmente. Poi rientrano nei loro paesi europei d’origine. Con una basilare differenza. I “combattenti islamici o di ritorno” di oggi, i miliziani europei dello stato islamico, sono di un’altra generazione di quelli dell’Afghanistan degli anni 90’. Sono seconde o terze generazioni di immigrati, nati e cresciuti in Europa. Certamente bisogna rimodulare metodi e rivedere studi sul fenomeno del terrorismo islamico in Europa alla luce del teatro di crisi siriano. I combattenti dello stato islamico dei nostri tempi, nativi dell’Europa, hanno poco o nulla in comune con i Mujaheddin europei degli anni 90’. Marcello Sorgi, editorialista de La Stampa, ad Agorà dell’8.01.2015, sostiene che:”E’ difficile far fronte e confrontarsi con questo tipo di terrorismo, di cui si conosce ancora molto poco”.
Fatti e dettagli, in questi tre giorni di shock, sono a conoscenza di chiunque: hanno esondato dalle frontiere francesi attraverso i palinsesti e i social di tutti i paesi del mondo. Così i nomi delle vittime, George Wolinski, Jean Cabut (Cabu), Bernard Verlhac (Tignous), Bernard Maris firme amate e conosciute da un vasto pubblico. Così come il metro umoristico, la linea di cruda satira del giornale.
Sarà vantaggiosa una riflessione sul limite tra libertà – anche di stampa – e offesa ai sentimenti religiosi e culturali – fino al vilipendio – che spesso le vignette di Charlie Hebdo hanno largamente superato? La vicenda accaduta è un atto di violenza tragico e scellerato, di totale barbarie senza alcuna giustificazione, né ideologica né religiosa né politica che tenga.
Ma poi, che cos’è la satira, un bene o un male? Cosa prende di mira? La satira si diletta di temi rilevanti, quali politica, religione, sesso e morte, suggerendone punti di vista diversi, ricercati e alternativi, che, nella condivisione generale, scatena la risata e al contempo diffonde delle piccole verità, fomenta dubbi, denuncia ipocrisie, sgretola i pregiudizi e critica le convinzioni. Della satira, c’è anche la definizione giuridica della Corte di Cassazione (Prima sezione penale, sentenza n. 9246/2006):“È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.”
La satira non può essere zittita, ha diritto di esistere. E’ un diritto costituzionale, che in Italia è garantito dagli articoli 21 e 33 della Carta Costituzionale:“trova il suo fondamento negli artt. 21 e 33 della Costituzione che tutelano, rispettivamente, la libertà di manifestazione del pensiero e quella di elaborazione artistica e scientifica. (…) la satira, in quanto operante nell’ambito di ciò che è arte, non è strettamente correlata ad esigenze informative, dal che deriva che i suoi limiti di liveità siano ben più ampi di quelli propri del diritto di cronaca”.( Vincenzo Pezzella, La diffamazione: responsabilità penale e civile, 2009, pp. 566-7).
“Stiamo andando verso un fanatismo ideologico religioso totale e mi preoccupano le derive a destra. La satira in questa storia c’entra poco: questo è un duro colpo alla libertà in generale.” afferma sul Fatto Quotidiano Mario Cardinali, direttore-editore del Vernacoliere, mensile di satira in vernacolo livornese dal 1982.
Qualcuno ha anche parlato di 11 settembre europeo. Una retorica esagerata? Pare proprio di no. Bernardo Valli, corrispondente di guerra ora editorialista di La Repubblica, a Porta a Porta del 9.01.2015 su Rai1, sostiene che ”si può osservare ciò che è successo in Francia e quello che è accaduto negli USA. Tra l’attacco ai grattacieli simbolo dell’11 settembre americano c’è similitudine se si considera un grattacielo la libertà di opinione espressa dalla libertà di stampa”. E aggiunge:”L’Europa è l’obiettivo più vicino con grandi migrazioni ma una minoranza attiva fanatica, non bisogna colpevolizzare tutti i musulmani”. Bisogna fare un appello all’Islam colto, civile e ai governi per valutare, in modo oggettivo, il reale livello di integrazione di queste nuove generazioni di cittadini europei musulmani all’interno delle rispettive società, nei diversi stati d’Europa. Evitare di far crescere l’intolleranza antislamica.
Alla fine di questa giornata e alla luce degli ultimi accadimenti, oltre a costernate riflessioni, nell’aria resta la citazione forte, vera e amara di Charb:”Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio” insieme alle parole vibranti, rivolte ai terroristi, di Ariel Dumont, corrispondente Marianne:“Pensavate di uccidere Charlie: lo avete reso immortale. E’ vivo. Ci sono migliaia di Charlie!”.
Maria Anna Chimenti