La tanto attesa approvazione per il registro delle unioni civili, è arrivata nella tarda mattinata di ieri in Campidoglio, con legittima soddisfazione delle associazioni LGBTIQ, che hanno organizzato fuori dall’aula consiliare capitolina un presidio pacifico a favore dei diritti, esponendo cartelli raffiguranti dei cuori con al centro il simbolo uguale, a rappresentare che tutti gli amori sono diversi ma con uguali diritti. Obiettivo centrato, dunque, dalla giunta del sindaco Ignazio Marino che ieri aveva dovuto fare i conti con un acceso gruppo di contestatori, intenzionati ad ostacolare la discussione in aula, causando lo slittamento della votazione. A distanza di dodici ore, si è arrivati all’approvazione dell’emendamento con 32 voti favorevoli, 10 contrari e 1 astenuto. Hanno votato contro Ncd, Fi e Fdi, mentre si è astenuta la Lista Marchini. Oltre al sindaco Ignazio Marino, presenti in aula anche il governatore della Puglia, Nichi Vendola, e l’ex parlamentare Vladimir Luxuria. Ricordiamo che la prima firmataria di questa proposta di delibera è la Consigliera SEL Imma Battaglia, sostenuta dal Movimento 5 Stelle.
«Una giornata di grande civiltà, l’approvazione del registro delle unioni civili a Roma – afferma il presidente nazionale Mario Marco Canale di ANDDOS – sarà fondamentale nel successivo percorso di approvazione dell’attuale legge in discussione in Senato e di ulteriori provvedimenti per la piena equiparazione dei diritti, ma anche nel percorso di accettazione di moltissime persone LGBTI. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 1, recita: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. E all’articolo 21 ribadisce: “E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione”. E’ compito delle istituzioni, garantire alle persone i diritti civili e sociali senza discriminazioni di sorta, fondamentali per la crescita culturale e sociale di un Paese. Ci teniamo ancora una volta a sottolineare, che l’approvazione di tali emendamenti non intende assolutamente modificare o alterare il riconoscimento dei diritti della famiglia tradizionale, con cui non siamo affatto in contrapposizione». Francesca Palumbo