Mercoledì 4 febbraio, ore 18.00, nella sala adibita agli eventi de La Feltrinelli della Galleria Alberto Sordi di Roma, il giornalista e scrittore Gabriele Polo, ha presentato il suo recente libro “Il mese più lungo”, in occasione del decennale dal sequestro in Iraq di Giuliana Sgrena e dal suo tragico epilogo con la morte di Nicola Calipari, il dirigente del Sismi. All’epoca l’autore era direttore de Il Manifesto. Parterre di curiosi ed amarcord ha fatto da cornice al ricordo dell’autore, alla prefazione di Rosa Villecco Calipari, la vedova dell’eroe dei servizi segreti, agli interventi di Carlo Bonini, giornalista, di Erminio Amelio, magistrato, e di Vauro Senesi, vignettista.
Nell’aria quid di passato ed emozione che si tasta con mano.
Le parole pragmatiche dell’ex direttore de Il Manifesto -2003/2009- calano nella sala:”Il difficile di quando si scrive un libro è presentarlo. Parto”dice”dalla prima cosa che ho imparato a fare da quando andavo all’università e da quando sono giornalista, con la citazione di fonti, di testimoni, di protagonisti del fatto svoltosi dieci anni fa”. Di seguito, a grosse linee, anche la determinazione del contesto e la ricostruzione degli eventi, il clima di quei giorni, i ruoli e le responsabilità degli attori dello scenario della vicenda. Gabriele Polo e il suo racconto avvincente e reale conquistano facilmente attenzione. Poi continua:”Mi è stato utile il libro di Amelio, L’omicidio di Nicola Calipari. Ho consultato internet. Ho incontrato persone conosciute dieci anni fa per riverificare la memoria. Ho sfogliato un quaderno, usato in quei giorni per annotare quello che stava succedendo, e di cui non si poteva scrivere, ma anche ciò che non riuscivo a spiegarmi, a capire. Quando Calipari è stato ucciso ho smesso di scrivere su quelle pagine. Quel quaderno per me è diventato una sorta di totem alla memoria del caso”. In quel periodo l’Italia viveva divisa in due tra berlusconiani e antiberlusconismo; tra doveri verso gli alleati USA e opinione pubblica e manifestazioni per la pace; tra trattative per il rilascio della giornalista del quotidiano comunista e riunioni di palazzo. Lo scrittore evidenzia il rapporto umano con il dirigente del Sismi Nicola Calipari nato in quel mese: due sconosciuti legati dal problema comune del sequestro di Giuliana Sgrena. Polo conclude:“Un rapporto fatto di curiosità reciproca e di valenza politica in senso alto: quel tentativo di confronto con la realtà in cui il libero arbitrio conta molto, per cambiare, riconoscersi, mantenendo e rimanendo se stessi, in modo da poter fare durare ciò che noi chiamiamo Democrazia”. Silenzioso pathos corale.
Carlo Bonini, sostiene che il libro “è per tutti. E’ intellegibile” e poi racconta dell’amico personale Calipari, quando era ancora un giovane dirigente dell’Anticrimine di Roma, conosciuto da cronista a Il Manifesto in occasione del caso Marta Russo; dell’aneddoto sulla propria data di nascita, 4 marzo, comune ai familiari ma che sarà anche la data di morte di Calipari; della telefonata intercorsa la mattina del giorno in cui è morto, di come fosse incavolato, infatti farfugliava parlando (elemento rilevatore di quando gli capitava di dover perdere la calma), e della strana richiesta di provare a scrivere e a raccontare di quella storia se gli fosse successo qualcosa. Il giornalista fa un ritratto personale del dirigente del Sismi:”Era un irregolare. Non aveva la giusta dose di cinismo per sopravvivere all’ambiente del Sismi. Aveva un’idea dello Stato e dei servizi segreti nel solco della repubblica. Questa sua fede, non lo avrebbe mai portato a fare qualcosa contro il sistema per cui lavorava, anche se disprezzato dallo stesso. C’erano delle lotte interne all’intelligence: un rischio per la missione di Calipari”. L’intervento di Bonini, termina con:”Mi auguro che questo libro renda giustizia a quella parte di storia non detta e non scritta su Nicola Calipari. Solleviamo questo segreto di stato che è un sequestro di stato abusivo”.
La parola passa al magistrato Erminio Amelio:”Non ho conosciuto Calipari. Ho letto però gli atti processuali e mi sono fatto un’idea di che tipo di persona è stata”. In base all’aspetto processuale del caso, secondo Amelio”non si salva nessuno. Il governo di centrodestra ha messo il segreto di stato sulla vicenda, confermatomi poi, anche da quello di centrosinistra. E il generale Pollari ha attestato la stessa cosa ”. Il magistrato prosegue:”Di solito un libro fa testimonianza su vicende su cui si fa oblio. Il segreto di stato è ancora li: è lo stato dell’arte della politica”. Il suo non è un punto di vista, ma l’aspetto processuale del caso dell’omicidio del servitore dello Stato, fra udienze, memorie, verbali, sentenze e ricorsi, rapporti tra Presidenza del Consiglio, Avvocatura di Stato, Pubblico Ministero, Corte d’Assisi, Cassazione, Procuratore Generale. Un percorso che inizialmente ritiene l’omicidio del dirigente dell’intelligence ‘oggettivamente politico’ per cui di competenza della giurisdizione italiana vista la ‘preminenza dei diritti dell’uomo’ per poi ribaltarsi erroneamente con ‘la legge della bandiera’ prima, e, dopo, quella de ‘l’immunità funzionale’(non si può processare lo Stato Americano) fino all’assoluzione di Lozano. Un crimine di guerra che genera sconforto e senso di abbandono. Amelio afferma:”Le mie non sono sensazioni, congetture, ma stati di fatto”, continua con “L’aspetto politico, vede la commissione italiana non condividere quello che dice la commissione americana sul posto di blocco, il checkpoint 541 che avrebbe dovuto funzionare massimo 15 minuti, per la sicurezza degli uomini, e che invece rimane per un’ora e mezza. Purtroppo non abbiamo avuto successo anche se abbiamo applicato la legge. Concludo sostenendo che per scoprire cosa c’è dietro questa uccisione bisogna sollevare il segreto di stato.”
Vauro Senesi, disegnatore e vignettista, con spiccata deformazione professionale illustra alla platea il suo di ricordo, che associa all’aspetto della vedova di Calipari, Rosa:“L’immagine vivida dello sguardo di una donna cerchiato da dolore, che aveva perso il marito, ma che vedendoci accennò un sorriso di accoglienza. Un gesto bellissimo se si pensa che Nicola Calipari era morto per salvare una di noi, una giornalista del quotidiano Il Manifesto che, la mattina dei funerali, era uscito con la foto sorridente dell’eroe e la scritta ‘Con te’ in prima pagina.” Durante i funerali di stato, calca di gente, istituzioni e rappresentanti di governo e di partito,fanno l’ultimo saluto all’eroe fuori e dentro la Basilica di Santa Maria degli Angeli in piazza della Repubblica. Un momento solenne macchiato dall’ipocrisia “di un sistema che si limita a sancire l’ineluttabilità degli eventi celebrando l’eroe Nicola Calipari”. “Un momento solenne”, dice Vauro che”pone un interrogativo forte a tutti gli addetti all’informazione: chi siamo e che responsabilità abbiamo in quello che è accaduto e sta accadendo? Il lutto di Calipari è arrivato dopo la liberazione di Giuliana Sgrena nella comunità de Il Manifesto e di quella identità collettiva che con passione, civile e politica, teneva salda l’idea che le cose si possono cambiare. Quell’esito della vicenda, quel lutto di guerra, quella vita spezzata in Iraq, ha rotto la tensione accumulata nei giorni precedenti, e molti di noi, che abbiamo vissuto quel periodo, ci siamo posti domande sul senso, sull’impegno sociale e politico del fare informazione: ne vale la pena? Ebbene la risposta è si. Bisogna denunciare la guerra e il crimine che rappresenta. Serve una memoria viva. Purtroppo, la realtà condivisa dai giornalisti è che ciò che ieri era scandalo, ora è norma. Siamo arrivati ad una metastasi della guerra.” Infatti in Iraq si combatte ancora, così in Siria, Giordania, Libano. Il medio Oriente è una polveriera.
L’incontro pomeridiano finisce tra sinceri complimenti all’autore, mesti applausi e il greve peso di una vicenda che non ha ancora giustizia, nonostante siano trascorsi dieci anni. Fuori, sotto la pioggia incessante, si perpetua la figura di un eroe dei nostri tempi, Nicola Calipari, a cui non si può onorare la memoria perché la verità non è potuta andare oltre, imbrigliata da retorica e finzione, a causa di un sistema che si serve del segreto di stato per manipolare e mettere a tacere fatti scomodi e ingombranti. Il compito a far riemergere tutte le contraddizioni del caso e a non far chiudere il cerchio nel silenzio, già nelle poche esplicite parole di Gabriele Polo sul retro della copertina del libro de Il mese più lungo:“La morte di Nicola Calipari è stata risolta classificandola come qualcosa di fatale. Come si fa con le ingiustizie del mondo quando vengono accettate per paura di dar loro un nome”.
Maria Anna Chimenti