Sequestro Moro: il piu’ grave “buco nero” della storia della Repubblica. A piu’ di trentacinque anni di distanza, un magma, un gorgo di sabbie mobili sempre più insidioso, che continua a buttar fuori veleni, intrighi, retroscena, inimmaginabili, coinvolgimenti e connivenze ad altissimo livello (secondo, peraltro, la peggior tradizione italica).
Proprio ai due lunghi, snervanti mesi del “Caso Moro” (dal 16 marzo al 9 maggio 1978), e alle loro ricadute, a tappeto e a distanza anche di molto tempo, sulla politica e la società italiane, è dedicato il racconto teatrale di Carlo Infanti “Moro-La verità negata”: andato ora in scena al teatro “L’Aura” di Via Blaserna al quartiere Marconi, noto per lo spazio che dedica a spettacoli di impegno civile.”Un testo – spiega Carlo Infanti – che ho tratto dal mio film “La verità negata“: il primo film-inchiesta ( non un semplice documentario) sul sequestro e l’assassinio del presidente della DC, che presentai al Festival di Cannes del 2008, per il trentesimo anniversario della vicenda“.
Su un palcoscenico illuminato da luci un po’ spettrali, con scenografia sapientemente ridotta al minimo, il “narratore” Infanti, nei panni d’un intellettuale deciso ad andare dietro le quinte del caso Moro, dialoga con protagonisti della vicenda e personaggi comunque al corrente dei suoi retroscena, che s’ alternano in interviste televisive.L’ex vicepresidente della DC Giovanni Galloni e il socialista Francesco Forte (successore, nel 1982-’83, di Rino Formica al ministero delle Finanze); Piero La Porta, generale ora in pensione,già con incarichi importanti al ministero della Difesa (che conferma la volontà delle stesse BR di far scoprire il covo di ViaGradoli, il 18 aprile 1978, per depistare, o comunque condizionare, le indagini in corso). Falco Accame, esperto di questioni militari, all’ epoca senatore indipendente nelle liste socialiste; sino, addirittura, all’agente del KGB Alexander Livtinenko, morto nel 2006 per avvelenamento da polonio radioattivo: autore, due anni prima, di pesan- ti accuse contro Romano Prodi e i suoi presunti legami di vecchia data con nomenclatura e servizi segreti sovietici. Quello stesso Prodi sostenitore, nel caso Moro, dell’inverosimile storia della seduta spiritica dell’aprile ’78: in cui lo spirito addirittura di Giorgio la Pira avrebbe ambiguamente pronunciato il nome “Gradoli”, spingendo gli inquirenti ad andare a perlustrare il tranquillo paesino viterbese…
Troppi sono i punti ancora oscuri, comunque copntroversi, della tragedia di Moro e dei 5 uomini della sua scorta (nel suo film, Infanti ne enumera ben 87!).Perchè, sino addirittura a maggio del ’78, a vicenda ormai conclusa, non si volle indagare sulla “tipografia delle BR”, nel quartiere romano di Monteverde, nè fermare il br Teodoro Spadaccini, figura da tempo già nota agli inquirenti? Che ruolo preciso ebbero il consulente antiterrorismo USA Steve Pieczenick, precipitatosi a Roma, su invito di Cossiga, gia’ pochi giorni dopo il rapimento di Moro, e il misterioso musicista, vicino alle BR, Igor Markevic? E la P2 di Gelli, che all’epoca infiltrava ampiamente forze dell’ordine, forze armate e servizi segreti? E soprattutto è vero – come sostiene, nei filmati, Giovanni Galloni – che addirittura già il 18 marzo, due giorni dopo Via Fani, gli inquirenti avevano fatto una perquisizione proprio a Via Gradoli, sullo stesso pianerottolo
dell’appartamento-prigione brigatista?
Domande che, probabilmente, a lungo resteranno ancora senza risposta;o ne produrranno altre,come in un perverso goco di scatole cinesi. Uno spettacolo, questo di Carlo Infanti, che davvero fa riflettere;grazie anche all’ incalzante commento musicale (con brani originali di Danilo Amerio, Federico Salvatore, Fabrizio de Andrè e Vinicio Capossela), e alle canzoni, interpretate dallo stesso Infanti, che danno il senso d’un Paese smarrito,ferito, da sempre ingannato e calpestato: che forse non vuole esso stesso andare al fondo della verità, ma almeno, nelle sue migliori espressioni, non smette d’interrogarsi. Moro come Pasolini: due personaggi diversissimi, eppure accomunati da una forte ansia di verità e da una fine tragica, con indubbie, inquietanti analogie.
di Fabrizio Federici