Il Teatro Patologico di Roma sta edificando la nuova Medea 2011- regia di Dario D’Ambrosi: la scelta della tragedia euripidea- simbolo indiscusso dell’intero genere- è strettamente legata alla forte emotività che governa l’intera opera. E’ proprio l’espressione di sentimenti- esasperati- carichi di pathos- di tormento esistenziale- che offre un validissimo spunto pedagogico e terapeutico. Difatti l’interpretazione è affidata ad attori con forti problemi psichici. Ed attraverso la rappresentazione la malattia si armonizza con l’arte stemperando una sensibilità nuova- più viscerale sulla scena. E’ una Medea che ricerca la sua primordialità ricorrendo alla matrice linguistica del greco antico che prenderà voce nel personaggio di Medea e nel Coro e si alternerà di contrasto all’essenzialità della lingua inglese che supporta il greco antico ed esprime un senso di divulgazione universale della tragedia.
Tradimento- barbarità- ostilità di una terra straniera- prevaricazione della smania di potere- discriminazione femminile- abbondono della propria terra natia e del proprio sangue costituicono le coordinate esistenziali in cui Medea si ritrova a vivere la condizione di moglie e madre dominata da sentimenti abissali che toccano l’apice nella vendetta più atroce e snaturata. L’isolamento psichico in cui Medea è precipitata è attenuato dal ruolo del coro. Gioca un ruolo più dominante che mai—è un’eco della stessa Medea- l’eco lontana della sua coscienza svilita dalla perdita del senno e dall’odio. Il coro è la forza- un monito di ragionevolezza nel tentativo di mistificare la follia e al tempo stesso è indignazione stessa di Medea a tratti morbosa- ossessiva.
E’ qui sta tutta la carica espressiva- nel dare voce alla propria indignazione – nell’affiancamento di un dolore fino ad assorbirlo interamente cercando di ricostruire una giustizia perduta.
di Silvia Buffo