Il settore agricolo in questi mesi di quarantena forzata dovuta all’ emergenza coronavirus sta facendo i conti con una grave mancanza di manodopera seguita al blocco della circolazione dei lavoratori europei ed extracomunitari. Un problema molto serio per un paese come l’Italia in cui l’agricoltura con 31,9 miliardi di euro di valore aggiunto è al primo posto nella Ue28 davanti a Francia (31,0 miliardi di euro) e Spagna (26,5 miliardi) secondo le stime ISTAT. Le associazioni di categoria denunciano da settimane il problema di un settore nel quale la manodopera straniera ha un ruolo decisivo. Molti lavoratori esteri in questi mesi sono rientrati nei loro paesi di origine e non è scontato il loro rientro per le raccolte stagionali con grave rischio per le colture. A questo si aggiunge l’obbligo per le imprese agricole di fornire gli indispensabili dispositivi di sicurezza e di garantire il rispetto delle distanze; fattori che creano inevitabili difficoltà organizzative. Il fabbisogno stimato per salvare i prossimi raccolti è di circa 250mila persone. I lavoratori stranieri regolari e iscritti all’Inps nel settore dell’agricoltura sono 391.500 in un comparto che conta complessivamente 1.076.930 operai agricoli con un’incidenza di circa il 36% sul totale. Il 61% dei lavoratori stranieri sono extracomunitari e nella quota dei comunitari i lavoratori rumeni sono al primo posto.
In una situazione di grave crisi economica il lavoro nei campi, tradizionalmente snobbato dagli italiani, sta tornando in auge come rilevato dall’osservatorio divisione agricoltura di Orienta, gruppo nato nel 1993 e specializzato nei servizi di somministrazione, ricerca e selezione di personale, staff leasing, formazione e outsourcing oltre ad offrire consulenza in ambito risorse umane in tutti gli ambiti e settori produttivi. L’azienda conta in Italia più di 50 filiali dirette, un fatturato di oltre 150 milioni di euro e 20.000 persone somministrate.
Orienta mette in evidenza come in queste settimane si stia assistendo ad una crescita esponenziale di italiani che rispondono agli annunci di lavoro del settore agricolo. In molti territori le percentuali di risposta degli italiani vanno oltre il 90% del totale considerando un bacino di lavoratori agricoli intercettati da Orienta di circa 10 mila unità. In alcune ricerche attive in Piemonte e Abruzzo i cittadini stranieri che rispondono alle richieste sono pochissimi ed è evidente come questo dato sia strettamente connesso alle ricadute sociali e lavorative scaturite dal lockdown. Moltissimi lavoratori dei settori più colpiti, soprattutto giovani sotto i 35 anni, impiegati nella ristorazione, nei bar, nei parchi giochi, negli stabilimenti balneari, nella piccola distribuzione si stanno “ricollocando” in agricoltura; settore alle prese con la raccolta tardo-primaverile ed estiva di frutta e ortaggi.
“Il dato più evidente è che questo boom di disponibilità di italiani coincide con l’emergenza coronavirus ed è in netta controtendenza rispetto al passato recente nel quale la quota dei cittadini stranieri era preponderante – spiega Giuseppe Biazzo, Ad Orienta-. Da sottolineare, inoltre, che il lavoro nei campi presuppone comunque delle tecnicalità, non si improvvisa, e in questo senso abbiamo avviato anche percorsi di riqualificazione e formazione di base per facilitare la ricollocazione in agricoltura di tantissime persone tra cui molti giovani, oltre alla formazione sulla sicurezza e sulla tutela della salute con uno specifico capitolo dedicato al Covid 19”.
Orienta mette in evidenza che sono circa 220 mila i lavoratori in nero secondo le stima del Censis, su un totale di oltre 3,3 milioni di lavoratori irregolari in Italia. Il contratto di somministrazione in questo scenario è uno strumento flessibile che favorisce l’emersione del fenomeno. Le paghe infatti vanno corrisposte in maniera tracciabile e viene applicato il contratto nazionale del settore. In questo modo non ci sono “paghe di piazza”, modalità nella quale si annida il compenso del caporalato. Una piaga che affligge da lungo tempo il mercato italiano del lavoro agricolo e che già nel dopoguerra veniva denunciato con decisione dal pugliese Giuseppe Di Vittorio, uno dei più autorevoli esponenti del sindacato italiano, nato nel 1892 in una famiglia di braccianti e ricordato dal premier Conte nella sua visita a Foggia dell’agosto 2018.