Intervista a cura di Paola Valori
Conosco Maurizio Prenna da diverso tempo, anche se è una di quelle persone che quando le incontri, ti sembra di conoscere da sempre. Ci siamo visti per la prima volta a Roma, in occasione di una sua mostra, allestita nel suo spazio “Plurale”, che è insieme studio, laboratorio e bottega. Un luogo mentale prima ancora che fisico, dove sono tornata più volte, un buenretiro, dove regna la fantasia più sfrenata e dove prende vita “tutto ciò che prima non c’era” per usare le parole di Bruno Munari, grande designer e figura leonardesca che tanto mi ricorda il suo lavoro. Inventore curioso, eclettico, intelligente, Maurizio ha un approccio alla vita e all’arte che meraviglia sempre. Classe 1959, ha visto evolversi l’era hippie degli anni 60, per poi diventare un giovane studente di architettura nella svolta epocale degli anni ’80, e attraversare i fortunati anni ’90, nel terreno fertile della sperimentazione artistica. Anni importanti, che hanno arricchito la sua vena creativa di mille sfaccettature, con connessioni impreviste, tra discipline diverse. Le sue opere spaziano con ironia dagli art objects ai gioielli, alle poltrone scultura.Un linguaggio artistico in continua trasformazione, capace di intrecciare espressioni visive come la pittura, la fotografia, l’architettura e il design. Non facilmente inquadrabile in un solo ambito, Prenna si distingue per il suo stile audace e sempre nuovo, e lo ringrazio per avermi concesso questa piccola intervista, che è anche la sua incredibile storia.
Benvenuto Maurizio. E’ un grande piacere incontrarti. Prima di iniziare… caffèo un bicchiere di vino rosso?
Caffè con un cucchiaino di zucchero bianco: normale! Mi piace sottolineare la semplicità.
Partiamo dagli albori. Sei nato aSan Severino, una delle città più ricche d’arte delle Marche.
Hai studiato architettura a Firenze, hai iniziato a lavorare a Milano e poi hai scelto di vivere a Roma. Che sogni avevi da bambino?
Pensavo di fare il medico in ospedale. Il gioco che mi piaceva di più era “L’allegro chirurgo”. Mia madre era infermiera e i suoi racconti mi affascinavano. Non sono diventato un dottore ma sono capace a fare le iniezioni a parenti e amici…
Chi ti ha avvicinato all’arte?
Penso che quando apri gli occhi per la prima volta si manifesti la tua indole. Lo spirito artistico per alcuni ne è la naturale conseguenza. La difficoltà è averne consapevolezza. A me è accaduto mentre facevo la scuola media quando partecipai ad una “Ex tempore” di pittura e venni premiato dal sindaco del mio paese con una medaglia. Mi sentii un eroe! Da allora sfoggiai dentro di me quel riconoscimento.
Dopo la laurea in architettura hai lavorato per un periodo come designer a Milano.Come è stata Milano con te?
“Milan l’è un gran Milan”! Grandissima avventura personale e formativa. Prime esperienze professionali, contatti con il gota del design mondiale, allestimenti per fiere e mostre, layout per riviste di architettura e anche pubblicazioni di alcuni miei lavori. Insomma la “Milano da bere” di un giovane provinciale volenteroso ma un po’ timido e poco audace.
Parallelamente realizzavi scenografie per il teatro e per la televisione. Un ricordo, un aneddoto di quegli anni…
La passione per il teatro è cominciata negli anni del liceo e poi si è concretizzata compiutamente durante l’università. Un ricordo? Un corso tenuto da allievi del maestro mascheraio Donato Sartori per imparare a fare le maschere in cuoio, originali della commedia dell’arte, accese la scintilla che poi mi ha aperto alla realizzazione di costumi e scenografie. Galeotto fu però il Festival Internazionale dell’attore di Montalcino dove entrai appieno in quel mondo ma soprattutto conobbi l’amore della mia vita con cui iniziai un cammino sentimentale e professionale: la compagnia teatrale universitaria alla Facoltà di Sociologia di Trento, gli spettacoli al Teatro Olimpico di Sabbioneta, le scenografie per la televisione…
Roma: una tappa fondamentale della tua vita. Oggi è la tua città, certamente una tra le più belle al mondo, ma anche una città chiusa e non facile. In tanti scelgono di andarsene. Raccontaci la “tua” Roma, perché sei rimasto negli anni e perché l‘hai scelta?
In qualche maniera è stata Roma a scegliere me. Mi ha offerto, casualmente, un lavoro temporaneo: un contratto semestrale in Rai. Con l’incoscienza dei trent’anni ho abbandonato Milano e mi sono attrezzato per vivere una nuova avventura. Subito mi sono sentito a casa: stesso linguaggio, modalità relazionali affini al mio sentire, informalità e giovialità. Come ogni “casa” ha bisogno di manutenzione costante e fino ad oggi l’intonaco e gli infissi reggono…
Ti è costata molto la libertà?
Secondo Giorgio Gaber la libertà non è uno spazio libero ma è partecipazione. Io sono schivo, forse pigro, e mi costa molto la partecipazione. Mi piace di più “stare sopra un albero, assaporare la gioia di inseguire l’avventura, seguire il volo di un moscone” spaziare con la fantasia…però ogni mattina quando mi alzo faccio mio il motto di de Coubertin: “l’importante è partecipare”!
Nel 1993 la decisione di metterti in proprio. Apri il tuo studio laboratorio “Plurale” a via di San Martino ai Monti.Un pensatoio, una sorta di “factory” alla Warhol dove prendono vita le tue idee. Un po’ bottega un po’ salotto, è uno spazio che ti somiglia. Perché Plurale?
Plurale ha dato un senso compiuto al mio percorso. In un periodo di incertezza professionale l’aver sintetizzato in una parola/concetto il mio sentire umano e professionale mi ha aiutato a dare un senso alla molteplicità delle esperienze che ho fatto e all’eclettismo che ho sempre praticato. Quella parola ha ospitato la mia inquietudine artistica e favorito l’avvio di una nuova stagione e generato una consapevolezza lavorativa dove ogni abilità conquistata ha potuto trovare applicazione…il processo creativo delle arti applicate.
Sei architetto, designer, grafico, gioielliere, scultore. E’ difficile starti dietro. Chi è Maurizio Prenna?
Mi piace pensarmi albero, seme, gemma, fiore e foglia morta…
Lewis Carrol, lo straordinario autore di Alice nel paese delle meraviglie, affermò che
l’immaginazione è un’arma contro la realtà. Quali sono le tue armi?
Non ho armi sono un pacifista. Per vincere la battaglia qualche volta uso il progetto artistico.
Se dovessi raccontarci tre tappe fondamentali della tua vita. Quali ci diresti?
Le tappe fondamentali della mia vita sono scandite da quelle che io chiamo “atmosfere” cioè quegli stati d’animo dettati dal mondo e dalle persone che ti circondano. Penso che questo sia dovuto ad una mia propensione ad assorbire e introiettare, spesso inconscia. Le atmosfere più significative sono quelle che si legano alle tre città dove ho vissuto: Firenze, Milano, Roma.
Degli anni trascorsi a Firenze come studente invece cosa ricordi?
Firenze è stata la mia seconda vita: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, dal natio borgo selvaggio alla città del sogno che si realizza, la grande passione per l’arte e per l’architettura ma anche lo smarrimento per essere solo di fronte a tante novità. Incontri imprevisti, persone speciali, il percorso di studi, la libertà sessuale, la scoperta delle relazioni. Insomma una porta che si apriva sul mondo.
Hai architetti e designer preferiti? A chi ti ispiri?
Nella mia formazione sono stati tanti i modelli di riferimento. Da molto tempo ho abbandonato l’architettura per dedicarmi esclusivamente alla ideazione e realizzazione di gioielli in argento, parallelamente alla materializzazione di progetti artistici. Sculture realizzate con la tecnica del cartonnage che diventano la traduzione tridimensionale dipinta e materica di opere classiche firmate da artisti del Novecento come Picasso e Modigliani. In questo ambito penso di aver superato la fase della fedeltà al modello di riferimento e mi sono spinto ad una mia personale reinterpretazione di queste icone della pittura. Potrei dire che con spavalderia un po’ irriverente aggiungo vita e fantasia a quei quadri che in genere vediamo a distanza…per rimanere alla stretta attualità, annullando il distanziamento dall’opera.
Il tuo curriculum artistico è davvero molto vario. La tua carriera è costellata da opere sempre diverse e sorprendenti, proprio come la tua personalità. Come sei arrivato tra le mille altre cose, anche al gioiello contemporaneo?
La casualità è sempre stato il leitmotiv delle mie scelte. Uno dei tanti incontri avvenuti nel mio Atelier Plurale è stato con un orafo colombiano che mi ha stimolato a sperimentare in questo ambito. L’approccio appassionato e ben riuscito con il metallo prezioso mi ha convinto a proseguire.
Se tu non avessi fatto l’artista che cosa avresti fatto nella vita?
Qualche volta ripenso alle occasioni che mi sono capitate nel corso degli anni e che avrebbero potuto cambiare la mia vita: lo stilista per un marchio sportivo, il programmista in Rai, il designer in una azienda di poltrone, il redattore in riviste di architettura e design, l’insegnante di educazione artistica.Comunque nessun rimpianto!
Le tue sculture in carta, ormai conosciutissime, rappresentano donne ispirate a artisti famosi (Picasso, Modigliani, De Lempicka). Quand’è che hai percepito il potenziale della tua ironia per comunicare?
Insieme all’ironia e all’autoironia è il gioco e la leggerezza nell’approccio ciò che principia il mio atto creativo. La profondità la sperimento nella capacità tecnica di trattare la materia e nel percepire la forza e la potenza dell’idea che si fa forma.
Servono più artisti coraggiosi?
Penso che non siano gli artisti a dover essere coraggiosi ma le istituzioni e gli imprenditori dell’arte
”Falloforia” è uno dei tuoi ultimi progetti. Si tratta di un modo totalmente nuovo di creare opere d’arte, attraverso l’utilizzo di un codice digitale (QR Code) scaricabile sullo smartphone. Raccontaci meglio da dove è partito questo viaggio tra tecnologia e arte. E’ solo per raffinati intenditori o è alla portata di tutti?
Questo progetto affronta il rapporto tra arte e nuove tecnologie. L’arte nei vari periodi storici non ha potuto fare a meno di utilizzare la tecnologia come specchio dei tempi, anzi ha utilizzato queste modalità per spostare sempre più in alto l’asticella della creatività. La particolarità di “Falloforia” è quella di utilizzare la tecnologia del QR Code una App ormai scaricabile su tutti gli smartphone e che consente di accedere velocemente ad una notevole quantità di dati. Nel mio caso il paradosso è quello di nascondere le informazioni, nello specifico una immagine artistica, come se fossero conservate in uno scrigno segreto perché troppo personali o intime. Si tratta di gouaches che riproducono falli realizzati con prorompente ironia. Il nascondimento si ottiene inserendo l’opera originale nel computer che a sua volta la affida ad una immagine criptata in una variopinta composizione geometrica. Tutto questo è alla portata di tutti ma è visibile solo a coloro che hanno un device recente in mano, apprendono il meccanismo inquadrando l’immagine e fruiscono dell’opera nascosta…
Chiudiamo in bellezza. Hai davanti a te il genio della lampada: esprimi tre desideri.
Poco tempo fa passeggiando per Roma ho visto una signora russa che leggeva le carte e per gioco,visto che non credo a queste cose, ho voluto provare. Lei mi ha chiesto di esprimere tre desideri e il responso ha stabilito che solo due dei tre si sarebbero avverati. Ve ne svelo solo uno perché gli altri se rivelati non si avvereranno: vedere una mia opera esposta al Moma di New York.
Paola Valori si è formata all’Accademia di Belle Arti di Roma. Specializzatasi a pieni voti in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo, affianca all’attività di artista quella di gallerista e curatrice, con un vivo interesse per l’organizzazione di iniziative culturali, artistiche e musicali. Promotrice di eventi dedicati alle nuove tendenze e ai linguaggi dell’arte contemporanea, ha ideato il progetto MICRO divenuto oggi un centro di sperimentazione aperto all’arte e alla ricerca per Roma e la sua provincia. Dal 2016 è presidente dell’Associazione Michele Valori.
Arianna Calandra