Posti letto di terapia sub intensiva, assistenza ai guariti da Covid-19 in quarantena, servizi di prevenzione con la creazione di un centro screening anti virus, con tamponi, analisi e test sierologici in aiuto alla popolazione. Sono queste le richieste che il comitato “Salviamo l’ospedale di Anagni”, attivo da alcuni anni contro la chiusura del nosocomio frusinate, ha rivolto al prefetto della provincia Ignazio Portelli. In un appello siglato da una decina di organizzazioni, confluite nel gruppo di tutela del nosocomio, i cittadini ribadiscono l’importanza di dotare il territorio della provincia a nord di Frosinone dell’assistenza di base. Non è certo questo il primo allarme. Ultimo, in ordine di tempo, quello inviato a marzo al ministro della Salute Roberto Speranza e al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, rimasto inascoltato. In quella occasione si chiedeva la riattivazione di tutti i servizi di cui era dotato il nosocomio prima del contestato decreto 80 del 2010, che in nome dei tagli lineari, ha desertificato l’assistenza sanitaria in tutte le province del Lazio. Il provvedimento, prevede la riconversione dell’ospedale in presidio distrettuale di 2° livello: un vero e proprio declassamento. Via il pronto soccorso, disattivati tutti i reparti di degenza, stop a visite ed esami in caso di emergenza e urgenza. Una vera e propria sconfitta per i residenti e i fruitori di un territorio molto attivo sul piano economico. E non solo. Parliamo di una storica cittadina, Anagni, meta di turisti e di lavoratori, con il vicino casello dell’autostrada e numerose attività industriali e artigianali che ne fanno un distretto fondamentale per la nostra regione. Ma insieme alle attività produttive, in questo caso, si deve puntare l’attenzione sugli atavici problemi ambientali causati dalla presenza di fattori inquinanti nella valle del Sacco, il fiume locale che ha spesso destato preoccupazioni con prevedibili risvolti sulla salute dei residenti. Una ragione di più per non intaccare quei servizi sanitari basilari, la cui richiesta si concretizza nella necessità di un laboratorio analisi, della radiologia notturna, dell’assunzione di medici per il punto di primo intervento con presenza di un anestesista e di un cardiologo a copertura delle 24 ore e nell’assunzione di personale infermieristico e ausiliario. Servizi essenziali cui, secondo il comitato dovrebbero aggiungersi il rafforzamento della farmacia e l’apertura di un punto di osservazione breve intensiva, con l’ausilio di un centralino e di un efficiente servizio di vigilanza. “Siamo privi dell’assistenza di base – lamentano i cittadini da tempo – 80 mila anime dell’area Nord del frusinate, una zona industriale particolarmente attiva per la ripartenza dell’intero Paese”. Nessuna sicurezza per l’assistenza in situazioni di urgenza/emergenza, è il punto su cui battono i residenti dell’area, ribadendo che molti reparti dell’ospedale potrebbero essere riattivati senza alcuno sforzo. Alle sollecitazioni del comitato si sono uniti tutti i sindaci del territorio, in una battaglia che va avanti almeno da un decennio e che, a tutt’oggi rimane inascoltata. “La presenza di un presidio sanitario adeguato è fondamentale. Indispensabile per mettere in sicurezza e garantire le condizioni di lavoro delle maestranze che affluiscono ad Anagni quotidianamente e le popolazioni residenti”, hanno ribadito i cittadini nell’appello a Portelli, sottolineando la possibilità di ottenere finanziamenti perfino dagli imprenditori della zona, sensibili alla riapertura del locale ospedale, che attirava comunque un bacino di utenza molto vasto. E se oggi a contestare le decisioni regionali sono una decina di gruppi – dai comitati di quartiere alle associazioni culturali e scolastiche, passando per quelle ambientaliste e di tutela della salute – nel 2016 furono gli stessi consiglieri di maggioranza alla Pisana a presentare richieste e interrogazioni al presidente della Regione Zingaretti, primo fra tutti Daniele Fichera del gruppo “Psi per Zingaretti” che in una interpellanza dell’11 ottobre chiese lumi sulla riconversione dell’ospedale di Anagni in presidio distrettuale di 2° livello, considerata “la crisi nell’offerta di prestazioni e dei livelli essenziali di assistenza, obbligatori per legge”. Negli ultimi dieci anni oltre al presidio della città dei Papi, sono stati chiusi gli ospedali di Pontecorvo, Isola del Liri, Atina, Ceccano, due strutture di riabilitazione a Ceprano e Ferentino. Una sciagura per i cittadini del frusinate, territorio con età media elevata e palpabili difficoltà nella mobilità, specie nei mesi invernali. Con conseguente aggravio dei nosocomi ancora aperti: Alatri, Frosinone, Sora e Cassino “con costanti picchi di sovraffollamento, tali da mettere a rischio la salute dei cittadini”, riferisce Fichera nell’interrogazione. Tanto che la Asl di Frosinone è stata costretta a siglare un protocollo di intesa con strutture private per consentire il ricovero di pazienti in sovrannumero. Il tutto, in nome della contrazione della spesa e del rispetto del piano di rientro, applicato forse con poca flessibilità. Una spesa a “zig zag – ci dicono dal comitato – per il pubblico si contrae per i privati si allarga”. Oltre al danno la beffa. In risposta, la Regione ha aggravato la situazione applicando il decreto ministeriale “Lorenzin”, il numero 70 del 2015 che ha colpito anche il punto di primo intervento (Ppi) di Anagni, sostituendolo con un meno rassicurante presidio ambulatoriale territoriale, che garantisce solo il trasporto nell’ospedale più vicino in caso di emergenza/urgenza. Questa volta, nella città dei Papi, lo schiaffo è stato doppio.