Pubblichiamo di seguito l’articolo del giornalista Enrico Somma, indignato per il comportamento dei parlamentari che hanno portato fuori dall’Aula l’onorevole Sgarbi, precludendogli in tal modo la possibilità di esprimere fino infondo il proprio pensiero.
L’espulsione dell’on. Sgarbi dal Parlamento merita un approfondimento dal punto di vista delle ipotesi di “attentato alla Costituzione e agli organi costituzionali”. Così ho infatti titolato un mio inedito, inviato a Mondadori col sottotitolo Tribunali per Magistrati come per ministri e militari. Anche per la vicenda Palamara ho infatti ipotizzato questi reati come definiti in vari articoli del codice penale.
Ciò lo dico tralasciando le pretestuose e sessiste motivazioni in base a cui il parlamentare Sgarbi è stato espulso con l’uso della forza dal Parlamento. In modo a mio avviso strumentale per come motivato anche dalle forze politiche giallo-fuxia che sostengono il “governo Conte 2” che ogni giorno perde deputati rischiando di perdere anche la maggioranza parlamentare necessaria a sopravvivere.
L’espulsione di un parlamentare come Sgarbi dal Parlamento è comunque gravissimo e inaccettabile. Lo ha anche ben chiarito un giornalista stimato come Sansonetti, direttore de “Il Riformista” di cui condivido quanto ha detto e scritto al riguardo.
Anche a mio avviso si sono calpestati i diritti di parola e pensiero (garantiti all’art. 21 della Costituzione) non solo di un parlamentare, ma di tutti i cittadini che Sgarbi rappresenta in Parlamento. Il fatto è ancora più grave perché Sgarbi diceva e chiedeva cose ovvie, che nella sostanza corrispondono o sono inerenti a quanto dichiarato dallo stesso presidente della Repubblica Mattarella.
Ciò non può essere inficiato da pretesti di tipo sessista o di linguaggio con cui si è cercato di mistificare la vicenda come chiunque può verificare. Basta – a mio avviso – rivedere immagini e parole registrate in modo inoppugnabile.
Impedire poi a un parlamentare non solo di motivare ma anche di votare la sua richiesta di chiedere l’istituzione di una Commissione Nazionale per indagare anche l’ipotesi di attentato alla Costituzione, inerente – ipso facto – la vicenda “Palamara CSM” – a mio avviso è per tutti i cittadini italiani più offensivo e inaccettabile rispetto al linguaggio notoriamente chiaro e poco forbito con cui si esprime l’on. Sgarbi. Il quale forse ha anche fatto bene a cadere nella trappola delle interruzioni o argomentazioni (più o meno sessiste o pretestuose) dell’on Garfagnana o di un’altra parlamentare ex magistrato. Come tutti possono ben capire e demistificare.
Bene fa quindi Sgarbi a portare la questione in tribunale, anche se la vicenda Palamara di per sé non lascia molte speranze a chi ancora si illude che il Diritto stia di casa nei tribunali italiani. Lo dico non solo da cittadino italiano. Ma anche da vittima del sistema Palamara che ho documentato già anni fa “ante litteram” in ben tre pamphlet. Illustrandolo quattro anni prima che lo stesso scandalo Palamara-CSM scoppiasse. Già gli stessi titoli dei miei pamhlet (ordinabili in ogni libreria) lo documentano: 1) “Potrebbe il CSM illuminare una sospetta trattativa…?”; 2) “”I tabù delle mafie” (Europa Edizioni 2016); e 3) “L’internazionale Mafiosa” (BookSprint Edizioni 2019).
In questi pamphlet documentai (da “giornalista senza giacca e cravatta” in Sicilia) come il CSM archivia con risposte fotocopia non solo le denunce contro magistrati, ma anche le questioni di incompatibilità ambientale che li riguardano. Avendo io da giornalista denunciato al CSM (dopo un esposto alla stessa procura di Palermo) una decina di magistrati. Tra cui un cugino dell’ex “ministro degli appalti della mafia” Siino. Salito come f.f. ai vertici della Procura di Palermo (e della sua DDA). A cui avevo denunciato la sua stessa parentela con l’ex “ministro degli appalti della mafia”. Un tabù che nessun giornalista “professionista” o di regime ha mai voluto indagare. Anche se io davanti al Quirinale lo illustrai ai giornalisti delle più grandi testate spiegando che il cugino di Siino aveva voluto presenziare al famoso ‘interrogatorio di Napolitano” sebbene i suoi stessi colleghi della Procura di Palermo glielo avessero pubblicamente sconsigliato. Come documentato peraltro anche da “L’Ora” che in quei giorni tornava a uscire on line sotto la direzione di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza.
In questo contesto scompariva per anni un procedimento per calunnia in cui ero parte offesa come giornalista. Un procedimento che veniva classificato pretestuosamente come “modello 45” (cioè “senza notizie di reato”). Che veniva affidato (guarda caso) un compagno di scalata del cugino di Siino, salito nel frattempo ai vertici della stessa Procura di Palermo. Sebbene – depositando il mio esposto (in cui denunciavo tale parentela) – il giudice Teresi mi spiegava che – per ovvi motivi di incompatibilità – quasi certamente sarebbe stato affidato a Ingroia o a De Francisci.
Tutto ciò succedeva mentre il CSM avvantaggiava nella carriera il cugino di Siino che – stando a quanto pubblicato su “Il fatto Quotidiano” a firma di un ex magistrato come Bruno Tinti – capeggiava al tempo la corrente Area che vinceva le elezioni al CSM insieme a MD. Tutto in chiara linea con lo scandalo Palamara-CSM.
In tale contesto si decurtava il punteggio di altri due candidati alla carica di “aggiunto” (Cartosio – oggi procuratore a Termini Imerese – e Fici) con carenza di motivazioni etc stando a sentenza dei tribunali amministrativi.
Scusatemi se ripeto che anche ciò è in linea con lo scandalo Palamara e con quanto Sbarbi tentava di dire in Parlamento.
Enrico Somma
oggi pensionato, ex docente liceale ed ex corrispondente pubblicista dei principali quotidiani siciliani “Giornale di Sicilia”, “L’Ora” e “La Sicilia”. Ex “giornalista senza giacca e cravatta” in terra di mafia come mi firmo nei miei pamhlet.Maura Capuano