Coronavirus: al suo esordio, presi dalla paura e da un senso collettivo di solidarietà nazionale, abbiamo applaudito dai balconi, steso tricolori, cantato, apprezzato il sacrificio di medici, infermieri, operatori sanitari. Per passare poi, nella fase due, a un sentimento da resa dei conti. Dal timore diffuso di fronte a un virus sconosciuto, estraneo e pericoloso al rifiuto in alcuni casi, di costrizioni tipo la mascherina. Dal più stretto confinamento nelle nostre case fino all’esplosione della movida più sfrenata con comportamenti del tutto contrari a quelli raccomandati come distanza di sicurezza. Quella contro il virus è stata ed è una guerra; non è un caso se questa è stata la metafora più usata e come in tutte le guerre, prima si combatte poi si analizzano pregi ed errori delle scelte. Dopo la fine della Grande Guerra ci fu un lungo processo sull’operato dei generali, giusto che ci sia anche oggi sullo Stato Maggiore. Vanno però evitate le fucilazioni dei militi e degli ufficiali subordinati a differenza di quanto accadde a Caporetto. Qui sembra addirittura che sia il popolo a chiedere le teste di chi ha rischiato tra le granate in arrivo. Sebbene il nostro Paese non abbia nulla da rimproverarsi nella prima fase, sulla gestione del cosiddetto lockdown, non tutto ha funzionato bene e non sempre si è agito in scienza e coscienza. Balza agli occhi di tutti l’approssimazione che c’è stata nella comunicazione, con una sequenza di errori gravissimi, non solo da parte del governo ma di tutta la comunità scientifica italiana e mondiale Oms, in testa. Nella prima fase, tutta l’Italia ha assistito sgomenta alle giravolte informative con cui, nel giro di poche ore si sono alternate disposizioni e letture della pandemia contrastanti e contraddittorie. Tutto ciò unito a conferenze stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e della Protezione civile che rimarranno negli annali del pressappochismo di un intero paese e della pochezza di quasi tutta la classe dirigente non solo politica ma scientifica, intellettuale e tecnica. Alla cupa lettura pomeridiana dei numeri, si sono alternati messaggi terroristici che non hanno avuto uguali in nessun Paese del globo. Il disorientamento è stato pressoché totale, tra chi sottovalutava il pericolo magari per esorcizzarlo mettendo la testa sotto la sabbia e chi lo enfatizzava deformando i dati e la narrazione della realtà. Il tutto, in molti casi, per conquistare il cosiddetto quarto d’ora di celebrità. I cittadini spaventati, rintanati in casa e bombardati da una bulimia informativa deformante, hanno disperatamente e collettivamente cercato una ancora di salvezza trovandola nella capacità, tutta italiana, di reagire collettivamente. Il tutto affidandoci agli unici punti di riferimento in penuria di tutto: istituzioni, politica, classi dirigenti. Il “sistema Paese” si è unito di fronte a coloro che si impegnavano quotidianamente per salvare le vite dei pazienti: medici e infermieri. E la paura collettiva ha tacitato ogni voce critica, rinviando a posteriori la valutazione di errori ed eventuali responsabilità. Con il tempo abbiamo cominciato a conoscere meglio il virus, a correggere i gravi errori della prima fase come, ad esempio, non curare subito i sintomatici in ospedale per paura di intasare le terapie intensive. E abbiamo toccato con mano l’evanescenza dei servizi territoriali e domiciliari, quasi assenti. Ebbene, allorquando sembra che il più sia passato, nelle comunità riprende vigore la voglia di considerare chiusa la guerra e riapre l’italica abitudine di cercare il capro espiatorio. “Dobbiamo dar retta agli scienziati in palese disaccordo tra loro?”, è stata la domanda ricorrente in questo periodo. Ebbene, se un rilievo deve essere avanzato, riguarda il comitato tecnico scientifico che tra i numerosi esperti non ha un virologo. Ė mancato l’esperto vero, l’unico in grado di conoscere alla perfezione un virus ancorché sconosciuto ed essere in grado di impostare l’elemento determinante che è mancato: la comunicazione nello stato di crisi. Se negli Usa ha provveduto Fauci unico vero virologo, così come nel Regno Unito e in Francia si è dato spazio a un’unica voce, in Italia non c’è stata una vera voce ufficiale a contrastare i vari “virologi” autonominatisi per la felicità dei frequentatori dei social. Ė noto come un eccesso di dati numerici non è mai una maggiore informazione ma è solo elemento di maggiore confusione. Ebbene, i nostri rappresentanti di governo non hanno mai considerato questo aspetto, così come nella fase di ripresa, non stanno considerando la grave situazione economica derivante dai mesi di spegnimento totale di ogni attività umana e produttiva. Ma questa è un’altra storia.