Giuseppe De Fidio, una vita da «Numero Uno»: quello del portiere è sicuramente uno dei ruoli più difficili e decisivi dove si decidono le sorti delle partite come si evince dall’analisi tecnica del noto istruttore di calcio.
Nato a Barletta come il suo compianto amico e grande campione olimpionico Pietro Mennea, ha mosso le prime parate da ragazzo nelle giovanili della Juventus, maturando la crescita tecnica nel De Martino Torino per poi proseguire la carriera difendendo i pali di vari club come Barletta, Bisceglie, Romulea e Banco di Roma con la quale società vinse la Coppa Italia Dilettanti. Da istruttore è stato il preparatore dei portieri della Rappresentativa Nazionale di Serie D e della Nazionale Italiana Under 18, oltre che aver rivestito il ruolo di preparatore nella scuola calcio della SS Lazio, della Juventus Academy Roma nonché quello di osservatore tecnico del Torino Calcio.
Pugliese orgoglioso ma romano ormai di adozione, il direttore tecnico della Scuola Numero Uno vive all’Eur con la sua inseparabile e simpaticissima signora Giovanna che ormai è diventata espertissima di calcio e insostituibile collaboratrice dei camp estivi che la Scuola di Portieri Numero Uno organizza da ben 27 edizioni, l’ultima delle quali si è svolta a Tagliacozzo nello scorso luglio e ha visto all’opera 19 giovani promettenti portieri sotto la guida tecnica anche di allenatori del calibro dell’ex biancoceleste Mario Marchetti, Roberto Polverelli (ex c.t. Nazionale Italiana Dilettanti) e di un esperto del settore come Federico Talocci. Tra i propri collaboratori di spessore, la Scuola Numero Uno annovera anche il professor Ernesto Alicicco, storico medico sociale della As Roma dal ’78 al ’99, nel suo palmares lo storico scudetto giallorosso nel campionato 1982/83 alla guida tecnica di Nils Liedholm e campioni in campo del calibro di Falcao, Pruzzo, Ancelotti e Bruno Conti.
Tutti i bambini sognano di fare un gol quando giocano. Cosa spinge allora un giovane calciatore ad indossare da piccolo la maglia del portiere?
La capacità di non temere un confronto e di sottoporsi ad un giudizio senza paura. Quindi il desiderio di essere, per questo, già un potenziale Numero Uno… nella vita.
Il fascino del numero 1 è anche quello di essere eroe e vittima nello stessa partita?
Non mi sembra, penso piuttosto che nasca dalla voglia di voler essere comunque protagonista.
Come si allena la gestione dell’errore e delle emozioni nella mente del portiere?
Spiegando che l’errore è sempre possibile ma che deve essere accettato come formativo ed utile all’insegnamento e alla propria maturazione. Specie nei portieri più giovani la correzione è fondamentale.
Come può mantenere la concentrazione il portiere di una squadra molto forte, che subisce pochi attacchi dagli avversari ,per non farsi trovare impreparato nel momento cruciale?
Seguendo continuamente il pallone e stando attento a mantenere una giusta distanza (20 metri circa) dai propri difensori. Un portiere concentrato è quello che al triplice fischio si meraviglia che la partita sia già finita…
E’ un luogo comune affermare che i portieri alti siano meno dotati tecnicamente o meno reattivi da terra?
Certamente. Un portiere alto, se correttamente allenato, può fornire in reattività prestazioni anche superiori a quelle di portieri più brevilinei.
Meglio avere in squadra un portiere bravo tra i pali o uno più determinante nelle uscite che sappia imporsi nell’area piccola?
Più che imporsi nell’area piccola il portiere deve saper prevedere e, quindi, anticipare, la conclusione dell’azione. Un portiere che giochi “alto” (cioè che segua la squadra anche oltre la sua area di rigore) può evitare sul nascere azioni pericolose. Con lo stesso concetto è da preferire un portiere abile nelle uscite alte, piuttosto di uno solo abile tra i pali.
Quella di parare i rigori è una dote personale o può essere allenata?
Si possono certamente allenare i riflessi ma ritengo opportuno che il portiere, con un certo ragionamento, prima debba determinare la percentuale di maggiore probabilità del tiro su di un lato e lanciarsi quindi in quella direzione.
Si può allenare nel portiere la capacità di decifrare e prevedere l’intenzione dell’attaccante?
Penso di no. Ritengo che questo faccia parte del proprio patrimonio genetico e che permetta ad un portiere come un valore aggiunto di distinguersi da un altro.
Ma la fatidica punizione a girare sopra la barriera che s’infila sul primo palo è veramente un tabù per i portieri, alcuni dei quali non accennano nemmeno ad un movimento?
Assolutamente no. Per un portiere ben preparato (dal punto di vita tecnico, oltre che atletico) dovrebbe essere impossibile prendere facilmente gol in quel modo.
Però avere un portiere che sappia leggere tatticamente la partita da dietro può aiutare molto la propria squadra: può essere quindi utile sapere le dinamiche dei moduli tattici avversari?
Al di là della conoscenza della tattica avversaria, un portiere che sappia “leggere” la partita (e, quindi, dirigere la difesa) diventa fondamentale per bloccare le iniziative avversarie.
Quale invece la lacuna che trova maggiormente nei giovani portieri?
Una preoccupante pochezza tecnica e la difficoltà ad effettuare uscite alte.
Scuola di portieri: una definizione che indurrebbe a pensare che ci sia una stessa linea di guida nell’insegnamento eppure non è così. Molti preparatori sembrano avere una propria didattica di insegnamento, perché?
Semplice. Perché non esiste ( e non è mai esistita) una vera Scuola ma, da ventanni a questa parte si assiste ad un preoccupante “fai da te” nella preparazione tecnica.
C’è il pericolo della noia negli allenamenti soprattutto a livello giovanile se lo staff della squadra non dispone di un bravo preparatore dei portieri che sappia anche motivare?
Certamente. Il segreto è proprio tenere sempre alto il ritmo e pretendere la massima attenzione, Questo favorirà la concentrazione e quindi un corretto apprendimento.