Intervista ad Elena Arvigo, l’allieva di Giorgio Strehler, regista ed attrice, che – dopo il recente successo di Maternity Blues (from Medea) e di Donna non rieducabile memoradum teatrale su Anna Politkovskaja – è attualmente in scena al Teatro Out/Off di Milano con “Il Bosco”, tratto dal racconto di David Mamet, sino al 14 giugno prossimo.
Elena Arvigo, come è arrivata al mondo de Il Bosco di Mamet?
E’ un testo che ho letto e che ho amato subito. Leggerlo e decidere di farlo e’ stato quasi simultaneo.
Che cosa è stato ad attrarla fin da principio in questa storia?
Mi piace questa sintesi tra fiaba e reale che è stato capace di “raccontare” Mamet. Come diceva Orazio “Mutato nomine de te fabula narratur” ovvero “Cambiato il nome, di te parla la favola” e ne “Il Bosco” i riferimenti al fantastico, all’invisibile e al doppio sono tantissimi, a partire proprio dal titolo stesso.
Se dovesse individuare il cuore de Il Bosco di David Mamet, quale sarebbe?
Il cuore de “Il Bosco”, sta proprio nel coraggio di attraversarlo questo Bosco – e, come più’ volte dice Ruth, quando si attraversa il Bosco bisogna stare attenti a non perdere la strada e a non perdere di vista l’altro. Bisogna non perdere fiducia e andare avanti nel cammino.
Che significato simbolico si potrebbe attribuire al ruolo dei due personaggi, Ruth e Nick, della storia in scena?
Se volessimo essere rigorosi, e applicare le regole sulla Morfologia della Fiaba di Propp, si potrebbero individuare due personaggi molto netti e distinti e considerare la crisi finale di Nick come lo scioglimento del nodo. Ma – è proprio questa la bellezza del storia – non ci sono eroi in siffatta storia. Non ci sono eroi, eroine o amori che si rivelano. E’ una storia d’amore autentica senza lieto fine. Nessuno sarà salvato, e l’atto eroico è continuare a restare in quel quotidiano pieno di inadeguatezze. Così finisce lo spettacolo:”Continua – Continua? si continua – Il giorno dopo –“.
Arvigo, quando ha deciso di scegliere Antonio Zavatteri per interpretare il personaggio del racconto?
Conosco Antonio da più’ di 20 anni, ed è diverso tempo che ci ripromettevamo di lavorare insieme, e questa, ad un certo punto, è diventata un’occasione “possibile” – Antonio è un attore bravissimo ed è una fortuna averlo accanto – al di la del “ruolo”. Quando ci si conosce da così tanto tempo, e si è amici, non so se si può parlare di “scelta”. Diciamo che ci si tiene d’occhio e si cerca di trovare l’occasione giusta.
Non è certo un momento facile e si cerca tutti di incastrare tante cose… Inizialmente, avrei dovuto fare questo testo con Ivan Franek – anche lui un attore meraviglioso della repubblica ceca – ma le prove sono state fatte a Genova, e ci sono state tante vicissitudini produttive per cui, alla fine, la scelta è confluita verso questa possibilità di lavorare con Antonio.
Che cosa è stato ad affascinarla della figura di Zavatteri? Un pregio e un difetto.
Antonio è un amico caro, e a me piace lavorare con gli amici, i quali ti conoscono e a cui tante cose non si devono spiegare. Essendo un mio amico mi piace perché è una persona di cui mi fido.
Un difetto di Antonio? Dice di esser un po’ permaloso…
Elena Arvigo, quale fase o parte del suo lavoro preferisce?
La parte delle prove è la parte più bella. Quando tutto sembra possibile e si possono percorrere tutte le strade sbagliate, che sono alla fine quelle più interessanti.
In Italia, le registe donne faticano moltissimo…
Credo che in questo momento facciano fatica un po’ tutti. Se devo esser sincera, non mi sono mai sentita penalizzata per il fatto di essere una donna.
A che cosa fa pensare la frase di Denis Diderot, scritta nel 1769 a Grimm – direttore della Correspondance littéraire – in occasione dell’annuncio del proprio testo Paradosso dell’attore (pubblicato, con qualche revisione, dieci anni dopo in rivista, e finalmente, nel 1830, in libro): “Sostengo che è la sensibilità a rendere gli attori mediocri, l’estrema sensibilità gli attori limitati, il sangue freddo e il cervello gli attori sublimi.”?
Il “Paradosso dell’attore”, e’ un libro eccezionale più per le riflessioni che genera che per il contenuto in sé. Diderot, considerava la sensibilità un ostacolo per l’interpretazione e, si può dire, che era un po’ ossessionato da questo argomento. Il discorso è complesso, ma credo che, se è vero che un “bravo” attore debba necessariamente avere sangue freddo e cervello, è altresì vero che un attore interessante debba regalare un po’ di cuore, nel senso proprio di coraggio, per mostrare la complessità e le contraddizioni dell’animo umano. Sull’attore “sublime” non saprei … comunque, leggendo gli scritti di grandi attori, come ad esempio la Duse, credo sia evidente che la sensibilità non era un ostacolo ma uno strumento per rendere le interpretazioni più intense e potenti.
“L’elogio del Disordine” di Jouvet rimane, secondo me, uno dei libri più’ belli sull’arte della recitazione mai scritti.
Momenti particolari durante la rappresentazione teatrale…
Un momento che io amo molto e’ quando Ruth chiede a Nick:” Sei felice in questo momento?” e Nick risponde (dopo una pausa):”Si!”.
Come sta andando lo spettacolo?
Mi sembra che possiamo dire di essere felici per ora. Abbiamo ancora una settimana.
Elena Arvigo, può anticiparci qualcosa sui progetti in preparazione?
Faro’ un film come protagonista nel mese di Luglio diretto da Isabel Russinova.
Maria Anna Chimenti